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LA VERITÀ RENDE LIBERI?
CONTINUA IL CALVARIO DI SPEZI.
di Alex Montecchi

14 aprile 2006. A una settimana dall’arresto, il giornalista Mario
Spezi si trova ancora rinchiuso a Perugia, lontano da casa. La
moglie e il suo stesso legale, l’avvocato-scrittore Nino Filastò che
già si era occupato in passato del caso del Mostro di Firenze, hanno
difficoltà a vederlo. Una situazione degradante per un grande
giornalista (oltre che scrittore apprezzato anche in Francia con il
suo Il violinista verde) che con il suo lavoro sta cercando di arrivare
alla verità in un caso tuttora oscuro. Ma mentre in altri paesi le
scoperte cui è giunto come giornalista (in particolare l’ora esatta
dell’ultimo duplice omicidio del mostro, stabilita durante un’inchiesta
per la RAI, di fatto scagionando Pacciani) altrove sarebbero state
autentici scoop, in Italia sono state soffocate dal silenzio.
Per rendere più comprensibile la situazione e la sua gravità,
riportiamo una dichiarazione di Douglas Preston risalente alla
settimana scorsa e brani di un articolo pubblicato nel 2005 su “MRivista del mistero” che riassume il caso del Mostro.
Scrive Douglas Preston:
7 aprile 2006. “Oggi la polizia italiana ha arrestato il mio caro amico
e coautore Mario Spezi. Lo ha attirato fuori dalla sua casa a Firenze

con un pretesto e lo ha caricato su una macchina. Ho parlato con
sua moglie Myriam, che dice che la polizia si è rifiutata di esibire un
mandato e non gli ha permesso di chiamare il suo avvocato. In
seguito si è saputo che l’arresto è stato ordinato dal GIDES, l’unità
speciale della polizia diretta da Michele Giuttari. Spezi è stato
condotto al quartier generale del GIDES per essere interrogato,
dopodichè, a quanto ne so, è stato portato a Perugia e incarcerato.
Secondo quanto riferisce la stampa, la accuse a carico di Spezi
sono calunnia, diffamazione, disturbo dell’ordine pubblico e
turbativa di indagine. In sostanza, è stato arrestato per aver fatto il
suo lavoro di giornalista. Secondo un’agenzia, sarebbe anche
sospettato di un delitto irrisolto di trent’anni fa, un’accusa del tutto
campata in aria.
il 19 aprile da Sonzogno (RCS Libri) è prevista l’uscita del libro che
Spezi e io abbiamo scritto insieme, Dolci colline di sangue. Il libro
esprime critiche nei confronti di Michele Giuttari così come del
Pubblico Ministero di Perugia, Giuliano Mignini, incaricato
dell’indagine che ora Spezi è accusato di avere turbato. Io stesso
un mese fa sono stato fermato in Italia dagli investigatori dell’unità
di Giuttari e interrogato da Mignini riguardo alle nostre attività
giornalistiche in relazione al libro. Alla fine mi è stato sbattuto in
faccia un avviso di garanzia per falsa testimonianza e mi è stato
consentito di tornare a casa.
Non è un caso che questo arresto capiti proprio dodici giorni prima
dell’uscita del nostro libro.
Il Dipartimento di Stato americano ha chiesto al giudice Mignini di
chiarire la mia posizione legale in Italia e, a quanto mi risulta, di
spiegare su quali basi io sia stato fermato, interrogato e accusato di
falsa testimonianza. Ma quello che è successo a me non è nulla: è
Mario la vera vittima di questo sconcertante abuso di potere e sono
in gioco la sua libertà come giornalista e come essere umano.
Chiedo a tutti voi, per favore, per amore della verità e della libertà di
stampa, di accorrere in aiuto di Spezi. Questo non dovrebbe
accadere in un paese bello e civile a cui sono molto affezionato, il
paese che ha dato al mondo Galileo e il Rinascimento.” (Douglas
Preston)
Da “M-Rivista del mistero”, volume 15, marzo 2005:
Il reportage pubblicato di Douglas Preston e Mario Spezi sul caso
del Mostro di Firenze, scritto originariamente per “The New Yorker”
e pubblicato con qualche aggiornamento lo scorso ottobre sul
volume 14 di “M-Rivista del mistero” ha segnato l’inizio di un
improvviso revival del caso. Con alcuni sviluppi imbarazzanti. Mario
Spezi, rinomato giornalista che da decenni segue la vicenda, è

stato oggetto di accuse e perquisizioni che, dall’America, Preston
non esita a definire “un grave attacco alla libertà di stampa.” Quel
che è peggio, c’è persino chi ha accusato Spezi di essere lui stesso
il Mostro di Firenze, come già a suo tempo era capitato allo scrittore
Alberto Bevilacqua. La persona che lo accusa, tiene a precisare
Spezi, “è stata condannata varie volte per calunnia.”
Se le accuse rivolte a Spezi sono dovute semplicemente al fatto
che mette in luce aspetti poco chiari, adduce prove, testimonianze e
interviste, insomma, fa il suo mestiere di giornalista senza l’obbligo
di compiacere nessuno, allora è stata violata la libertà di tutti noi. Il
diritto all’informazione, dovrebbe essere valido sia che si ritenga o
no corretta la pista seguita da Spezi. Lo stesso Carlo Lucarelli, che
si è occupato della vicenda nel volume Compagni di sangue scritto
a quattro mani con il commissario Michele Giuttari, nel suo
programma televisivo e in uno dei suoi libri di non fiction, pur
dichiarandosi convinto della pista attualmente seguita dagli
investigatori e non di quella di Spezi, auspica un rapido chiarimento
della vicenda…
Gli anni del Mostro Per cercare di comprendere il senso del caso e
dell’indagine, abbiamo ricostruito una cronologia essenziale dei
delitti correlati alla vicenda e delle indagini sul caso.
1951 Pietro Pacciani, contadino di Scandicci, è protagonista di un
orribile fatto di cronaca: sorprende la fidanzata con un altro uomo,
che uccide, violentando poi la ragazza sul luogo del delitto. Un
crimine brutale, che ispirerà per lungo tempo i cantastorie della
zona. Pacciani viene condannato a tredici anni di reclusione. Ma
una volta scarcerato, la sua carriera criminale non si interrompe:
sposato, ha due figlie che lo accuseranno di abusi sessuali. Un
personaggio sordido, che nel 1985 sarà sospettato di essere il
Mostro di Firenze.
1968 Ha luogo un duplice omicidio che risulterà in seguito legato al
caso del Mostro di Firenze: 21 agosto 1968, località Castelletti di
Signa. Vittime: Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco. Il
delitto viene compiuto sotto gli occhi del figlio di Barbara Locci,
Natalino Mele, sei anni. Arrestato e condannato: Stefano Mele,
marito della donna e padre di Natalino. Durante il processo viene
fatto il nome di un probabile complice-istigatore del delitto,
Francesco Vinci, già amante della donna e presumibilmente
proprietario della pistola usata per il duplice omicidio, e del fratello
di questi, Salvatore Vinci. L’arma del delitto, una Beretta calibro 22,
sarebbe stata gettata in un ruscello. In seguito però la stessa arma
sarà impiegata per tutti i delitti del Mostro, come sarà certificato da
numerose perizie.

1974 Sei anni dopo, sabato 14 settembre 1974, ha luogo il primo
delitto del Mostro: si sospetta un maniaco ma ancora non si
immagina che un serial killer possa essere entrato in azione.
Vittime: Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, una coppia
appartatasi in macchina a Borgo San Lorenzo. Quasi tutti i delitti
successivi avranno luogo di sabato e sempre a danno di coppie a
bordo di automobili. Questo è uno dei marchi di fabbrica del Mostro,
insieme a una certa abilità con le armi da taglio, con le quali
l’assassino infierisce sui corpi delle vittime.
1981 Sette anni dopo, il 6 giugno 1981, ha luogo a Scandicci il
secondo duplice omicidio, vittima un’altra coppietta: Carmela Di
Nuccio e Giovanni Foggi. Viene arrestato Enzo Spalletti, uno dei
guardoni che spiano abitualmente le coppiette nella zona. Spalletti
verrà tuttavia scagionato dal terzo duplice omicidio, che si consuma
quattro mesi e mezzo più tardi, mentre lui è ancora in carcere. La
data è il 22 ottobre 1981, la località Cadenzano, le vittime Susanna
Cambi e Stefano Baldi. L’assassino rimane senza volto. Comincia a
diffondersi l’isteria del Mostro.
1982 Dieci mesi dopo, il 19 giugno 1982 a Montespertoli, vengono
uccisi Antonella Migliorini e Paolo Mainardi: è il quarto duplice
omicidio del Mostro. Una lettera anonima con un vecchio ritaglio de
“La Nazione” invita gli investigatori a confrontare i delitti di Firenze
con il caso del 1968. I carabinieri scoprono che la pistola del 1968 è
la stessa dei quattro duplici omicidi. I proiettili usati dal Mostro sono
gli stessi (non solo dello stesso modello, ma provenienti dalla
stessa scatola) del delitto datato 1968. L’indagine si concentra su
Francesco Vinci, già ritenuto complice di quell’omicidio. Nasce la
cosiddetta “Pista Sarda”, che vede coinvolti personaggi legati in
modo più o meno diretto alla malavita di origine sarda e all’Anonima
Sequestri,
1983 Quindici mesi dopo, il Mostro colpisce per la quinta volta: il 9
settembre 1983, a Giogoli, vengono uccisi due ragazzi tedeschi,
Horst Meyer e Uwe Rusch Sens, erroneamente scambiati per un
ragazzo e una ragazza. Questo è l’unico caso in cui il rituale proprio
del Mostro non venga consumato. Il delitto è commesso mentre
Francesco Vinci è in carcere, ma si sospetta che possa essere
stato compiuto a scopo di depistaggio, proprio con l’intento di
scagionarlo. Sono arrestati Piero Mucciarini, Giovanni Mele e, per
un breve tempo, anche il figlio di Francesco Vinci, Antonio Vinci.
1984 Dieci mesi più tardi, il 29 luglio 1984, a Vicchio, Pia Rontini e
Claudio Stefanacci sono le vittime del sesto duplice omicidio.
Investigatori e giornalisti sono ormai chiaramente di fronte a un
caso insolito per l’Italia: nel nostro paese nessuno prima del Mostro
era preparato ad affrontare un caso di delitti seriali. In questo

periodo nasce dunque la SAM, la Squadra Anti Mostro del
commissario Perugini. Si elaborano i primi profili: quello del dottor
De Fazio e uno realizzato dall’FBI su richiesta dei colleghi italiani. In
entrambi i casi si parla di un serial killer “solista”.
1985 Quattordici mesi dopo, il 7 o l’8 settembre del 1985, avviene il
settimo e ultimo duplice omicidio. Le vittime sono due francesi,
Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili, accampati in una tenda
a Scopeti, vicino a San Casciano. Il seno sinistro della ragazza
(asportato post mortem, come già avvenuto nel 1984) viene spedito
per posta, a titolo di sfida, agli investigatori. L’omicida ha
dimestichezza con le armi da taglio: forse lo strumento utilizzato è
un coltello da macellaio, oppure un bisturi da chirurgo, oppure
ancora un coltello da subacqueo. Nasce una pista molto precisa:
quella di Pietro Pacciani, il cu nome è indicato da una lettera
anonima.
1994 Dopo un decennio di perquisizioni e processi, Pacciani viene
condannato come Mostro di Firenze. Il suo passato lo rende
sospetto. I delitti sono stati commessi nei periodi in cui Pacciani non
era in carcere. Buona parte dell’accusa si baserà sul duplice delitto
del 1985 e su testimonianze che collocano il Pacciani l8 settembre
sul luogo del delitto.
1996 Pacciani viene assolto in secondo grado per mancanza di
indizi. Non sarebbe lui, dunque, il Mostro di Firenze, anche se tutti
ormai lo considerano “il Mostro” per antonomasia. Nel frattempo
sono apparsi sulla scena due personaggi, Vanni e Lotti, destinati a
essere ricordati come i “compagni di merende”, a seguito di una
deposizione del Vanni che affermava di essere andato in giro a fare
“merende” col Pacciani. Secondo gli investigatori non si trattava
semplicemente di merende, ma di omicidi: il vero “Mostro di
Firenze” non sarebbe un serial killer solista, ma questo terzetto di
assassini in gruppo.
1998 Nel marzo di quest’anno i “compagni di merende” sono
condannati. Pacciani non può essere riprocessato: è morto da un
mese. Overdose accidentale di medicinali? Suicidio per non dover
tornare in carcere? Qualcuno ipotizza l’omicidio, anche se il referto
parla di morte naturale: infarto. Pacciani, muore considerato dagli
investigatori il leader dei compagni di merende, ritenuto “Mostro”
dal pubblico, ma innocente dal punto di vista processuale.
2001 Durante un’indagine che non ha nulla a che vedere con il
Mostro, in un’intercettazione telefonica appare un riferimento a un
medico di Perugia. Il medico in questione sarebbe Francesco
Narducci, morto in circostanze misteriose nel lago Trasimeno nel
1985, lo stesso anno in cui si sono interrotti i delitti. Incidente?
Suicidio? Eliminazione di un uomo che sapeva troppo? Nasce così

il troncone perugino dell’indagine, su cui si innesta anche l’ipotesi di
una setta satanica costituita da individui eccellenti e ben protetti, i
quali avrebbero commissionato a Pacciani e compagni tanto i delitti
quanto l’asportazione di parti dei corpi, da impiegare in qualche
orrendo rito pagano. Oltre agli esecutori materiali, ci sarebbe un
livello superiore, quello dei mandanti, che secondo alcune ipotesi
avrebbero eliminato il Narducci perché sapeva troppe cose sul loro
conto.
I punti oscuri Nel caso rimangono diversi punti oscuri, la cui
possibile spiegazione potrebbe andare a sostegno in qualche caso
della Pista Sarda e, in particolare, di una sua interpretazione alla
luce dell’inchiesta di Mario Spezi (si vedano in proposito il suo
reportage nel precedente numero di questa rivista e l’articolo di
Edoardo Montolli che trovate di seguito) e in qualche altro andare a
sostegno della tesi di Michele Giuttari, il nuovo direttore della
Squadra Anti Mostro.
L’arma del delitto. Come sottolineato da Douglas J. Preston e
Mario Spezi nel reportage pubblicato su “M-Rivista del mistero”, la
pista dell’arma è fondamentale. La Beretta del Mostro è apparsa
per la prima volta del delitto del 1968, dopo il quale sarebbe stata
gettata via da Mele. O è stata conservata da un complice? Questo
complice sarebbe Francesco Vinci? Nel 1974, poco prima dell’inizio
dei delitti del Mostro, Francesco Vinci denunciò un furto in casa
propria, facendo il nome del presunto ladro, senza tuttavia indicare
quale fosse l’oggetto rubato. La denuncia fu modificata in
“violazione di domicilio”. Che il Mostro fosse l’uomo, o meglio il
ragazzo, indicato da Francesco Vinci? Che sia in quell’occasione
che il futuro assassino si è impadronito dell’arma? Ma perché
riutilizzare un’arma già impiegata in un delitto precedente,
contravvenendo alle norme in uso presso la malavita e quindi
teoricamente note anche nell’ambiente dell’Anonima Sarda da cui
provengono vari individui coinvolti a suo tempo in questo caso?
Il profilo dell’assassino. I due profili realizzati negli anni Ottanta,
compreso quello dell’FBI, indicano un serial killer solista. Il VICAP,
l’ufficio dell’FBI che si occupa della realizzazione dei profili,
attribuisce i delitti del Mostro a un assassino che perde la necessità
di uccidere solo quando si trova accanto a una figura materna. Ciò
si sarebbe verificato dunque tra il 1974 e il 1981. Il Mostro avrebbe
dunque smesso di uccidere dopo il 1985 perché ormai libero
dall’impulso? Chi oggi si occupa di psicologia criminale non
considera più infallibili i profili dell’FBI di quegli anni, che pure erano
basati sulle statistiche. Forse personaggi come John Douglas, il più
famoso profiler dell’FBI, sono mitizzati smisuratamente. Vero è che,
grazie all’uso delle statistiche, il metodo ha dato frutti, permettendo

di identificare moltissimi assassini seriali operanti negli USA.
Naturalmente, non è detto che le teorie americane si possano
applicare alla lettera anche in Italia. L’assassino potrebbe avere
smesso di colpire perché si trattava in realtà di Pacciani e
compagni, arrestati, processati e quindi ormai impossibilitati a
colpire. Ma c’è un altra spiegazione, più dürrenmmattiana:
l’assassino avrebbe smesso di colpire perché nel frattempo è
morto.
La setta. Nella classificazione standard di serial killer e affini il
termine “omicidio rituale” è identificato con il delitto a sfondo
“religioso” e a scopo di “sacrificio umano”. Un esempio clamoroso è
rappresentato dal caso Tate-LaBianca, ovvero i delitti della
“famiglia” di Charles Manson, risalenti al 1969, in cui un ispiratore,
Manson, sguinzagliava i propri adepti, pronti a compiere stragi
sanguinose. Non possiamo fare a meno di notare che questo tipo di
“rituale” potrebbe corrispondere anche all’ipotesi della setta
satanica emersa recentemente nelle indagini sul Mostro. L’ipotesi
che Pacciani e soci abbiano agito non in proprio ma su
commissione trova una possibile conferma in un altro punto oscuro:
il denaro depositato sul conto di Pacciani, forse come compenso
per i servizi resi che ha permesso a un contadino clamorosamente
squattrinato diversi acquisti al di sopra delle sue possibilità. C’è
tuttavia un interrogativo: in un gruppo di persone dedite a un’attività
criminale, anche potenti e protette (si pensi alla Loggia P2) presto o
tardi qualcosa trapela, anche se non necessariamente ciò porta a
incriminazioni o processi. Possibile che, se fosse vera la teoria della
setta e dei mandanti, in trent’anni non ci sia mai stato un minimo
cedimento, un segreto sfuggito di bocca a qualcuno?
Il rituale individuale. Ma c’è un altro significato del termine
“rituale”, significato impiegato di frequente anche nei profili dell’FBI,
che si riferisce non a un rito religioso, bensì a un rituale individuale
dell’omicida: non solo il modus operandi del delitto, ma anche i
gesti che l’assassino compie dopo avere ucciso. Nel caso del
Mostro, l’asportazione del cadavere della donna, trascinata a una
certa distanza dal luogo materiale del crimine, e le coltellate e
mutilazioni inferte alle vittime. L’interpretazione dei gesti, secondo
l’FBI, corrisponderebbe al desiderio dell’assassino di riprendersi
con la forza una donna che gli è stata sottratta da un altro. Questa
interpretazione sembra corrispondere all’azione di un serial killer
solista che agisce in proprio, in preda alle proprie pulsioni, piuttosto
che a quella di due o più serial killer che agiscono in gruppo o
addirittura che svolgono una missione di morte per incarico di una
setta.

L’altra datazione. Nel 2002 un entomologo forense (interpellato
per conto del programma RAI Chi l’ha visto? dal giornalista Mario
Spezi) mette in dubbio, in base alle fotografie dei corpi e allo stadio
di evoluzione delle larve di mosca, la datazione del crimine dell’8
settembre 1985: il delitto potrebbe essere avvenuto il giorno prima,
il 7 di settembre, quando Pacciani è stato visto da molti testimoni a
una Festa dell’Unità. Se il delitto fosse avvenuto il 7, dunque,
Pacciani sarebbe da considerare definitivamente innocente. A
tutt’oggi, nessuno ha ripreso in esame la datazione del delitto, che,
se comprovata, smentirebbe completamente la tesi Pacciani. Che
sia per questa datazione alternativa che Spezi è stato accusato di
“demolire le indagini”?
L’opinione di Spezi “La vicenda del Mostro chiama solleva temi
politici”, dice Mario Spezi. “Quello del Mostro di Firenze è il caso più
politico nella storia della cronaca giudiziaria italiana: chiama in
causa l’amministrazione della giustizia, come si debba intendere la
colpevolezza di una persona, gli organi di stampa, la responsabilità
di chi compie le indagini.” Esibisce copia del profilo dell’FBI che,
racconta, fu poi tenuto nascosto perché non coincideva in niente
con quello che all’epoca era il Mostro indicato dalla Procura di
Firenze, cioè Pacciani. L’FBI indica che i gesti compiuti dall’omicida
dopo il delitto, gesti rischiosi che lo trattengono più del necessario
sul luogo del crimine, sono la sua firma: lo spostamento del
cadavere della donna, le incisioni, le mutilazioni… Ma perché non
aggredire donne sole, prostitute indifese? Perché aggredire solo
donne in presenza di un altro maschio, se non allo scopo di
strapparle simbolicamente a un altro uomo?
…Spezi parla del delitto del 1968, che all’epoca fu etichettato
semplicisticamente come delitto di gelosia e che a suo avviso fu
considerato come oggi si tratterebbe un delitto maturato
nell’ambiente degli immigrati albanesi: sottovalutato e trascurato.
“Dico una cosa molto grossa: se all’epoca fossero state condotte
indagini serie, forse non sarebbe mai esistito il Mostro di Firenze.”
Secondo alcune perizie, il Mele non sarebbe mai stato in grado di
compiere quel duplice delitto da solo. Non si sarebbe trattato di un
delitto di gelosia: perché Stefano Mele, era solito servire il caffè a
letto agli amanti della “sua signora”. Se non fu gelosia, che cosa
allora?
Quella vicenda rappresenta l’unico delitto commesso con la pistola
del Mostro in cui ci sia un testimone: Natalino Mele, che dormiva sul
sedile posteriore dell’automobile, ovvero il luogo del delitto. “Io ho
intervistato quel bambino, ormai quarantenne”, dice Spezi. “Ha
sempre l’aspetto di un bambino perso. Mi disse: ‘Mi hanno sempre
detto che non devo ricordare.’ Chi glielo aveva detto? ‘Le mie zie.’

Che cosa non doveva ricordare? ‘Non dovevo ricordare che avevo
visto mio padre e i miei zii,’ In altre parole, quello fu un delitto di
clan, la ‘punizione’, ma soprattutto l’eliminazione di una donna che
con i suoi innumerevoli amanti gettava discredito sulla famiglia. E
oltretutto, rubava soldi in casa per passarli agli amanti. Quella
persona doveva essere eliminata, ma la famiglia Mele non era in
grado di farlo. Il compito fu affidato a una persona che aveva un
debito con la famiglia Mele, una persona che aveva ricevuto dei
soldi e che in quel momento aveva motivi di astio verso la donna
che lo aveva abbandonato.” Questo risulta da una sentenza di 368
pagine del giudice Mario Rotella.
Si sa dunque chi detenesse la pistola e le pallottole del delitto del
1968, riconoscibili come appartenenti a uno stesso lotto. Pallottole
della stessa scatola. “Le prime cinquanta pallottole del Mostro sono
foderate di piombo”, rammenta Spezi. “Dalla cinquantunesima sono
foderate di rame: è stata aperta una seconda scatola.”
La persona che fu identificata come detentore dell’arma e dei
proiettili è la stessa che nel 1974 denunciò un furto con scasso ai
carabinieri, indicando chi sarebbe entrata in casa, senza saper
indicare cosa sia stato rubato. “Perché lo fa? Perché indica una
persona che allora ha sedici-diciassette anni? Un ex assassino che
ha a che fare con l’Anonima Sequestri sarda denuncia una persona
a lui molto vicina che non gli avrebbe rubato nulla. Ma tre mesi
dopo quella pistola uccide ancora, in un delitto molto simile a quello
commesso nel 1968 dalla persona che deteneva l’arma.”
Preston e Spezi hanno rintracciato quella denuncia e, su richiesta di
“The New Yorker”, sono andati a intervistare la persona di cui era
stato fatto il nome. Il reportage fu approvato dall’ufficio legale della
rivista americana e retribuito due dollari la parola. Ma, ricorda
Spezi, la data di pubblicazione prevista era la settimana successiva
all’11 settembre 2001. L’articolo rimase inedito per quattro anni, fino
a quando fu ripreso da “M-Rivista del mistero”.
Fino al 1988, afferma Spezi si è indagato su questa pista. “Poi, nel
giro di ventiquattro ore, ventiquattro, alcuni giudici e alcuni ufficiali
dei Carabinieri, vengono trasferiti altrove. Da allora nessun
carabiniere figura più nell’indagine sul Mostro. E nel 1988, dal
cilindro di qualcuno esce Pietro Pacciani.”

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