Grande Cucina 02_2013

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La rivista dei grandi chef della cucina italiana e internazionale

Anno 11 - n.4/2012 - Poste Italiane spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art 1, comma 1 DCB Milano

gennaio/febbraio 2013
www.reedgourmet.it

cArlo cracco
regole, rigore, rispetto
marco stabile
la nuova cucina
toscana

andrea mainardi
un desco straordinario

CHS presenta

Torus Pak

L’alta cucina d’asporto

1

Sei uno chef?
Prepara la vaschetta come
prepareresti il piatto nel
tuo ristorante.

2
Una volta riscaldata la vaschetta,
basta solo tirare la linguetta.

3

Ed ecco il piatto così come
l’hai pensato e preparato, non
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Quando c’è crisi bisogna tagliare i costi: questo dicono, e giustamente, tutti i testi
di economia. Ve bene, ma quali costi? Ovviamente parliamo ai nostri lettori, che
presidiano un particolare segmento della ristorazione: quello medio alto.
I costi fissi sono, come si evince dal nome, incomprimibili: si possono, con un po’
di abilità e tanta fortuna, abbassare un poco, ma il conto economico non cambia
più di tanto.
Per il personale si fa quel che si può. Però, come tutti sanno, le tecniche nuove
abbattono i costi della cucina: in tutti i settori possibili e immaginabili i costi fissi
in macchinari sono economicamente più convenienti del costo lavoro, questo è
un postulato della scienza economica, nella cucina è vero più che mai – poi la
qualità del piatto a parità di materia prima è molto spesso migliore, ma questo è
un altro discorso. Ma io di macchine nuove ne vedo ben poche nelle cucine… Se
non ora, quando?
L’altro costo sul quale si può intervenire sono le materie prime. Qui iniziano i
problemi. Quelle buone costano tantissimo e il trend è una continua, irrefrenabile
crescita. Ciò detto, io sono molto, moltissimo convinto che abbassare il costo e
quindi la qualità delle materie prime non vada assolutamente fatto: se si segue
questa strada si declassa immediatamente il ristorante. D’accordo, non tutti i
clienti se ne renderebbero conto, ma molti sì e quindi il rischio di questa scelta
è troppo elevato: il mio non è un giudizio moralistico, è che sono convinto che
questa sia una scelta economicamente troppo pericolosa.
E allora che fare? Ragioniamo su questa mia idea: proporre solo menù degustazione, non uno ma un paio, magari con qualche variante nei piatti forti tipo carne
o pesce. In molti Paesi stranieri è la norma per la buona ristorazione, in Italia no,
perché, si dice, che i clienti non apprezzino. Sarà, ma in questo modo si preserva
la qualità e si contengono i costi, dati gli acquisti mirati. Non è poco, anzi.
Quindi menù degustazione e macchine nuove. Quali le alternative?

gennaio 2013 / grandecucina / 5

8
GRANDI MAESTRI
CARLO CRACCO
Regole, Rigore, Rispetto
31
GIOVANI TALENTI
MARCO STABILE
La nuova cucina toscana
51
L’ANGOLO DI ALLAN BAY
ANDREA MAINARDI
Un desco straordinario
70
GLAM
STAY - DUBAI
Seducente eleganza
72
STYLE
CORSIA DEL GIARDINO - MILANO
Dolce e salato nel verde
73
ATMOSFERE
ANTICA TRATTORIA DEL GALLO GAGGIANO
Puntuale Chicchirichì
74
NELLA DISPENSA
Il lusso del gusto
77
IN CUCINA
Non chiamiamole solo pentole
80
COME SI FA
Il fondo bruno
82
PROBLEMI E SOLUZIONI
La mia salsa agrodolce
La salsa pearà
Le cipolle secche
Un modo per intenerire le seppie
90
MANI IN PASTA
Cannellone sfogliato con cicorie e ceci, salsa al sesamo e
verdure invernali stufate
92
CREATIVITÀ
GIANNI TOTA
102
CREATIVITÀ
VIVIANA VARESE

112
CREATIVITÀ
ROBERTO OKABE

SOMMARIO

119
CONTEMPORANEAMENTE PIZZA
Pizza Sapiens
122
GASTROVAGANDO
Urbino dei Laghi
Wicky’s - Champagne Marguerite Guyot
Bon Wei - Cantina Caiarossa
124
EVENTI
Rivoluzionarie Identità
126
EVENTI
Sorrento si tinge di rosa
128
GENIUS LOCI
Bottarghe d’Italia
130
AD SENSUM
Il salame, quello crudo

8

132
NEL BICCHIERE DI LUCA
Aglianico, storia di un successo annunciato
134
SOMMELIER
In viaggio con l’Oreno
136
MARKETING
Stelle e strisce in cucina
138
EVENTI
Viaggiatore Gourmet… si diventa
Un salone extraordinario

31

139
EVENTI
Rhex: la ristorazione sotto
il segno dell’evoluzione
140
NEWS

51

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cioccolato rompe ogni schema,
ogni confine e torna all’originale
concetto del cioccolato in cucina
Ottanta ricette che spaziano dalla
carne, al pesce, alle verdure alle
uova: niente esclude la presenza
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proprio viaggio nel mondo del
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la cucina deve volare.
come un aquilone

amuse-bouche
cristina viggè

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In un nebbioso martedì di gennaio prendo il treno. Direzione Brescia, Cast Alimenti. Una qualunque giornata d’inverno illuminata dalla scoperta di un luogo
speciale, anzi, solare. Sì, ai miei occhi si presenta proprio così questa scuola che
forma cuochi e pasticceri, pizzaioli e panificatori, cioccolatieri e gelatieri. Andirivieni gioioso per i corridoi, ragazzi cordiali dai grandi sorrisi e pieni di voglia di
fare, il Direttore Vittorio Santoro che entra con piglio sicuro e il Maestro Iginio
Massari che dispensa pillole di saggezza. Respiro positività. E mi piace lasciarmi trasportare da questo brulicare di voci e d’attrezzi culinari. Se questi sono i
futuri protagonisti del mondo goloso, io sono con loro. E mi schiero dalla parte
di una cucina in continuo movimento e in costante fermento. Che non azzera la
memoria ma che è intrinsecamente curiosa (come si può dimenticare il risotto
allo zafferano della mamma, però quanto buono è quello di Angelo Nasta de Il
Vico della Torretta, vincitore della recente edizione di Giallo Milano). Una cucina
che non può prescindere dal generoso e prezioso paniere italiano ma che getta
lo sguardo oltre, alle culture altre. Ha proprio ragione chef Roberto Carcangiu
quando afferma che “la cucina è come un aquilone. Deve volare alto ma senza
mai staccarsi dal filo che la tiene legata a terra: la tradizione”. Perché senza di lei
non c’è alcuna evoluzione. Senza i classici tagliolini all’uovo non ci sono i tagliolini
di tuorlo marinato di Carlo Cracco. Senza la verace carbonara non esistono gli
spaghetti alla carbonara di gamberi e caffè firmati da Andrea Mainardi. E senza
l’ovetto della nonna non c’è il fondente uovo che “va alle terme”, accompagnato
dall’abile mano di Marco Stabile. Che, all’ingresso del suo ristorante fiorentino,
espone una voliera vuota. Emblema di una cucina audace, capace di librarsi libera. Stando però attenta a non rompere lo spago che la tiene ben salda alle sue
radici. Perché il rischio è quello di perdere l’orientamento. E di cadere nel vuoto.

gennaio 2013 / grandecucina / 9

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

Cracco. Punto. E basta. Perché sono
sufficienti quattro consonanti (forti) e
due vocali (dolci) per individuare uno
chef dalla personalità magnetica. Che,
nel pieno della sua maturità, pretende ancora molto da se stesso. Nella
costante ricerca della perfezione. Facendo, sperimentando e rafforzando
il saper proprio. Col senno del prima e
del poi, col senso della vita fra le mani
e con la sensibilità di un cuoco che,
con o senza barba è sempre riconoscibile per quello che è. E soprattutto
per quello che fa: una cucina elegante
ed essenziale, celebrale e viscerale.
Di testa e di pancia. Immaginifica
e concreta, ideale e reale, onirica e
fisica. Chiasmica, iconica e sincretica.
Capace di condensare matericità e
astrazione, estasi estetica e seduzio-

regole, rigore,
rispetto

L’essenza che si fa consistenza. L’idea che si incarna nella pietanza.
Sempre sotto il segno dell’ordine e di una riconoscibile firma d’artista
Di cristina viggè; foto di Roberto Sammartini

ne gustativa. Innegabilmente frutto
di una lunga esperienza. Radicata
nella marchesità, alimentata da una
personale prospettiva del creare e
consolidata in una cifra stilistica unica
e irripetibile. Virtuosa di fondamenta
solide e ben assestate. “Perché solo
una buona base ti consente di variare”, spiega il bistellato Carlo. Per cui le
parole d’ordine sono puntiglio, severità, disciplina e rigore. Sempre, continuamente e festina lente. Nell’eterno
cammino verso l’empireo del sapore.
Anche ora che, a quarantasette anni,
lui ha davvero tutto. Successo, fama e
notorietà. E pure l’opportunità di scegliere cosa fare e dove andare, dicendo di sì o di no, divulgando il Craccopensiero ed esprimendo al meglio
un’ars culinaria distillata in pietanze
catalizzanti. Servite nel gastro-tempio
milanese di via Victor Hugo o raccontate attraverso il televisivo schermo.

10 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

Ristorante Cracco
Via Victor Hugo, 3 - 20123 Milano - Tel. 02 876774 - www.ristorantecracco.it
Chef: Carlo Cracco, Matteo Baronetto

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 11

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

Poco importa. L’importante è comunicare. Ovunque e comunque. Imparando a trarre il meglio da ogni momento. Tanto dalle cartacee copertine
quanto dal digitale terrestre, tanto
dalle puntate di MasterChef quanto
dal più comune degli show cooking
live. Considerando tutto come un
grande serbatoio-laboratorio da cui
pescare ispirazioni. Per poi sublimarle in culinarie interpretazioni. Come
succede per la scaloppina al limone e
capperi, rilettura di un piatto semplice
e casalingo (“te lo insegnano anche
all’istituto alberghiero”, sottolinea
Matteo Baronetto, l’alter ego di Carlo). Una ricetta che vuol corteggiare
il palato non solo per tenerezza o
per bontà ma anche per l’emozionale
sericità. Data dalla texture vellutata
delle fette di filetto di Fassone (pure

e crude), nappate con sugo di vitello (caldo e aromatizzato al limone),
impreziosite da un’acqua gelatinata di
capperi e completate da una maionese al limone salato. Preparata senza
uovo. Così come egg free (e pure milk
free) è la crema bruciata all’olio con
garusoli, versione salata e delicata
della crème brûlée, gratinata nella salamandra e servita nel Taste-huile by
Alessi: raffinato Degustaolio in acciaio
a foggia di tondeggiante oliva. Per un
metaforico rimando fra solido contenitore e soffice contenuto, da assaporare con il cucchiaino. Mentre i classici
tagliolini all’uovo divengono i tagliolini di tuorlo marinato, essiccati e
arricchiti da castagne liofilizzate e da
scaglie di tartufo bianco. Per un’assoluta sintesi d’uovo e tartufo. Belli
da vedere (somigliano alle matassine

i classici tagliolini all’uovo divengono
I tagliolini di tuorlo marinato, essiccati
e arricchiti da castagne liofilizzate e da
scaglie di tartufo bianco. Per un’assoluta
sintesi d’uovo e tartufo. Belli da vedere
(somigliano alle matassine esposte nei
pastifici) e buoni da mangiare. Ma attenzione,
senza affondare e avvolgere i rebbi nel nido,
bensì a mani nude. Sdoganando rigidi rituali
da ristorante illuminato. E riportando il cibo
alla dimensione più istintuale.
12 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 13

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

14 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

esposte nei pastifici) e buoni da mangiare. Ma attenzione, senza affondare
e avvolgere i rebbi nel nido, bensì a
mani nude. Sdoganando rigidi rituali
da ristorante illuminato. E riportando
il cibo alla dimensione più istintuale,
empatica e simpatica. O almeno, così
è che appare a Cracco. Visto che la
stessa gestualità ritorna nell’assaggio
dei sorbetti serviti a chiosa del pasto.
Che sono più di quel che sembrano,
come quello al cocco con guscio
edibile al cacao. O che non sono quel
che paiono, come quello a forma di
anguria e al gusto di lampone. Insomma, l’essere e il non essere, il tutto e il
contrario di tutto. Superando dogmi,
schemi e stereotipi. Persino sposando
il non cucinare, ovvero il solo assemblare. Come accade nel salmone e
foie gras, rosata-brunita attrazione
di due opposti. Posti l’uno sull’altro, nudi e puri, senza salse e senza
intingoli. Solo loro: carne e pesce,
terra e mare, grassezza e dolcezza.
A completarsi. Con la nobile umiltà
della loro essenzialità. E nel massimo
rispetto reciproco. Per dirla fuori dai
diktat gastronomici e dentro ai crismi
dell’esistenza: un piatto che è quasi
filosofia di vita. “Sì, il rispetto viene
prima di tutto”, Carlo dice rivolgendosi ai giovani che entrano per la prima
volta in una nuova casa-cucina. Senza
dimenticare la meticolosità. Perché
è sulle regole e sull’ordine mentale
che si forgia il fuoco dell’estro. Che
può divenire rouge o noire. Sostanziandosi nell’esaltazione dell’italianità:
spaghetti (anzi, spaghettoni) al sugo
di peperone rosso e acciughe salate.
O incarnandosi nello charme: riso
Carnaroli al nero di seppia in polvere
e ricci di mare. E che può addirittura emulare onomatopeicamente lo
scrocchiare sotto i denti di un biscotto alla polvere di pop corn, riso soffiato e cacao: il Krice, dolcezza proposta col caffè. Degno suggello a un

Impalpabile polvere di pop corn,
riso soffiato, cacao e zucchero
semolato. Nasce da elementi
semplici il Krice, croccante biscotto
servito col caffè. Perché anche
l’ultimo istante del pasto non
sia un attimo fuggente ma un
momento nobilitato
dal bello e dal
buono. In foggia
tondeggiante,
fragrante e
invitante.
Chiosa deliziosa
a un’esperienza
vissuta in
uno spazio
raffinato, compendio di nicchie,
specchi, boiserie in ciliegio, pezzi
d’arte moderna e avvolgente
ospitalità. Dettagli. Perché è nel
dettaglio che si cela il senso della
grandezza.
gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 15

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

menu messo a punto grazie al lavoro
attento di una brigata perfettamente
organizzata. Che assicura costanza,
sicurezza e continuità al lavoro di
uno chef. Anche nel caso non possa
essere presente ai fornelli. Un modo
intelligente per responsabilizzare
ogni singolo ragazzo dello staff, che
in tal modo può crescere, migliorare
e, con l’andar del tempo, trovare uno
stile personale. Così come la propria

16 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

strada l’ha già trovata Luigi Taglienti,
capitano del Ristorante Trussardi alla
Scala. Che, consigliato e supportato da Carlo, ha imparato non solo a
potenziare la sua identità golosa, ma
pure ad approcciare correttamente
i buongustai del capoluogo lombardo. Perché non è facile fare lo chef a
Milano. Nemmeno se ti chiami Carlo
Cracco.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 17

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

18 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

salmone
marinato
e foie gras

INGREDIENTI PER 6 PERSONE
Per il salmone marinato: 750 g di salmone, 140 g di sale fino, 155 g di zucchero semolato, 4 g di aneto fresco, 8
bacche di pepe bianco. Per il foie gras
e la finitura: 20 g di fegato d’oca, 3 g
di sale nero hawaiiano.
PROCEDIMENTO
Mescolare sale, zucchero, aneto e
pepe bianco. In una placca mettere
la baffa di salmone e coprirla con la
marinatura. Lasciar marinare in frigorifero per 3 giorni. Terminata la marinatura, sciacquare sotto acqua fredda,
asciugare e tagliare a fette di 0,5 cm
cadauna.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Sul piatto, disporre tre fette di salmone, e su due di queste adagiarne
un paio di fegato grasso. Passare in
salamandra per mezzo minuto. Salare
con sale nero hawaiiano.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 19

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

SPAGHETTI
AL SUGO DI
PEPERONE
CON ACCIUGHE
SALATE

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 g di spaghettoni, 7 peperoni rossi,
50 g di olio extravergine di oliva, 40 g
di burro, 4 filetti di acciughe essiccati,
400 g di acqua gassata.
PROCEDIMENTO
Mondare i peperoni privandoli della
buccia, dei semi e della parte bianca.
Frullarli al mixer con l’acqua per 5 minuti. Filtrare al colino fine e mettere a
ridurre a fuoco lento in una casseruola
con l’olio e il burro, fino a raggiungere
una densità sciropposa. Cuocere gli
spaghetti in abbondante acqua salata
per 14 minuti. Scolare e saltare in un
saltiere con poco sugo di peperone.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Disporre in un piatto fondo e terminare con qualche pezzo di acciuga
essiccato.

20 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 21

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

riso al nero
e ricci di
mare

ingredienti per 4 persone
240 g di riso Carnaroli, 1,5 l d’acqua,
20 g di nero di seppia in polvere, 40 g
di ricci di mare, 20 g di farina di riso,
40 g di olio extravergine di oliva, 10
g di burro, 10 g di vino bianco, 4 g di
gruè di cacao.
procedimento
Tostare il riso con il burro per 3 minuti; bagnare con il vino bianco e fare
evaporare; bagnare con l’acqua calda
e cuocere per 12 minuti. Terminata la
cottura unire al riso la farina di riso,
diluita in poca acqua, rimestando
con cura. Il riso deve risultare molto
morbido.

22 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

Finitura e presentazione
Disporre il riso in piatti piani da portata. Adagiare i ricci di mare in ordine
sparso sopra il riso. Con l’aiuto di uno
spolverino, cospargere la superficie
del riso di polvere di nero di seppia.
Ottenuta essiccando in forno per 1
notte il nero di seppia e successivamente polverizzandolo al mixer.
Servire, terminando con un filo di olio
extravergine.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 23

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

TAGLIOLINI
DI TUORLO
MARINATO
CON TARTUFO
BIANCO

24 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per i tagliolini: 16 tuorli, 1 kg di sale
affumicato, 250 g di zucchero, 300 g
di purea di fagioli borlotti. Per il condimento: 12 castagne affumicate, 16 g
di tartufo bianco.
PROCEDIMENTO
Amalgamare il sale affumicato con lo
zucchero e la purea di fagioli borlotti,
mettere un po’ di composto in uno
stampino monoporzione e adagiarvi
sopra il tuorlo. Procedere così per
tutti i tuorli. Lasciare marinare per 4
ore. Sciacquare i tuorli sotto l’acqua e
oliare 2 fogli di carta da forno. Poi, su
un foglio, distribuire in senso ordinato
i tuorli, e coprire con l’altro. Con l’ausilio di un matterello, stendere il tutto

formando un foglio sottile. Lasciare
a temperatura ambiente per circa
5-7 ore. Una volta asciugati i fogli di
pasta d’uovo marinato, metterli in un
mixer e frullarli. Mettere sottovuoto il
composto e conservare in frigorifero.
Con l’ausilio di una sfogliatrice, tirare
delle sfoglie sottili di pasta d’uovo
marinato. Passare le sfoglie nella trafila per i tagliolini. Riporre i tagliolini
ottenuti su un piatto piano e cuocerli
a microonde (750W) per 40 secondi,
ottenendo così i tagliolini essiccati.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Disporre i tagliolini su un piatto piano,
unirvi alcuni pezzi di castagne essiccate e terminare con lamelle di tartufo bianco fresco.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 25

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

26 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

“SCALOPPINA”
AL LIMONE E
CAPPERI

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
4 fette di filetto di Fassone (50 g
ognuna). Per l’acqua di capperi: 125
g di acqua, 50 g di capperi dissalati,
17 g di soia, 2 g di wasabi, 2 g di agar
agar. Per il limone salato: 3 limoni, 50
g di sale grosso, 75 g di zucchero,
sciroppo (250 ml di acqua e 125 g di
zucchero). Per la maionese al limone
salato: 150 g di polpa di limone salato
(frullata e setacciata), 250 g di olio di
semi, 50 g di olio di sesamo.
PROCEDIMENTO
Frullare i capperi dissalati precedentemente con l’acqua. Filtrare al colino,
mettere in una casseruola e far prendere il bollore con l’agar agar. Far raffreddare fino a solidificazione. Frullare
la gelatina al mixer unendo la soia e il
wasabi, fino ad ottenere un’emulsione

omogenea.
Per il limone salato. Incidere i limoni in
4 per il lungo, farcirli con il mix di sale
e zucchero. Metterli sottovuoto con lo
sciroppo e cuocere a 65°C a vapore
per 2 ore.
Per la maionese al limone salato.
Montare con il frullatore a immersione
la polpa di limone salato con l’olio di
semi e l’olio di semi di sesamo, fino ad
ottenere una maionese omogenea.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Disporre le fette di filetto di vitello,
crude e tagliate a metà, su un piatto da portata. Aggiungere, in ordine
sparso, qualche cucchiaino di acqua di
capperi e di maionese al limone. Guarnire con alcuni capperi fritti. Terminare
nappando in superficie la “scaloppina”
con il sugo di carne al limone.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 27

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

28 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

ORATA,
CURCUMA E
MANDARINO

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per l’orata: 120 g di orata fresca (filetto), 80 g di succo di curcuma fresca.
Per la gelatina di mandarino: 100 g di
succo di mandarino, 50 g di acqua, 1,5
fogli di colla di pesce. Per la finitura: 12 capperi salati, 12 g di semi di
finocchio, 10 g di polvere di buccia di
mandarino essiccata.

PROCEDIMENTO
Per la gelatina di mandarino. Fare uno
sciroppo con l’acqua e lo zucchero,
unirvi il succo di mandarino e la colla
di pesce. Conservare in un contenitore
di acciaio in frigorifero fino a gelificazione. Tagliare a fette il filetto di orata
e disporlo su un piatto da portata.
Condire ogni fetta di orata con qualche goccia di succo di curcuma.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Aggiungere nel piatto, in ordine
sparso, i capperi salati e i semi di
finocchio. Rompere la gelatina di
mandarino in pezzi delle dimensioni
di un cucchiaino, passare ogni singolo
pezzo nella polvere di buccia di mandarino essiccata e disporre nel piatto
vicino alle fette di orata. Servire.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 29

GRANDI MAESTRI / Carlo cracco

INGREDIENTI PER 10 PERSONE

FRUTTA
GHIACCIATA

LA “FALSA” ANGURIA
Per la scorza: 1 g di acido citrico, 1 l
d’acqua, 1 pezzo di colorante alimentare verde brillante, 400 g di mela
Granny Smith, 300 g di succo di mela
verde, 25 g di zucchero invertito, 1,8 g
di agar agar, 8 g di colla di pesce, 150
g di cioccolato bianco al 33%, 20 g di
olio di semi. Per il sorbetto al lampone: 1 kg di purea di lamponi, 435 g
d’acqua, 280 g di zucchero semolato,
70 g di succo di limone, 100 g di glucosio, 20 g di semi di basilico.
PROCEDIMENTO
Per la scorza. Tagliare a pezzi la mela
e metterla in un sacchetto da sottovuoto con l’acqua, l’ascorbico ed
il colorante. Centrifugare. Portare a
bollore in una pentola il succo di mela
con lo zucchero invertito, aggiungervi
l’agar agar e portare di nuovo a bollore, frustando energicamente. Togliere
dal fuoco, aggiungere la gelatina
reidratata, abbattere e lasciar riposare in frigorifero per 2 ore a 4°C. Una
volta solida, frullare sino ad ottenere
una consistenza cremosa e liscia. Con
l’aiuto del sottovuoto eliminare le
bolle d’aria. Riporre in un sacchetto
da pasticceria. Per il sorbetto al lampone. Stemperare in acqua tiepida il
glucosio, sino a completo scioglimento, porre all’interno di un frullatore e
frullare aggiungendo la purea di lamponi, lo zucchero semolato e il succo
di limone. Si ottiene cosi la base per il
sorbetto al lampone che va mantecato e successivamente arricchito con
i semi di basilico, che riproducono i
semi dell’anguria.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Sciogliere il cioccolato e unirvi l’olio
di semi, per rendere il composto più
fluido e di facile lavorazione. Foderare
con uno strato sottile di cioccolato

30 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

stampi in silicone a mezza sfera del
diametro di 6,5 cm. Lasciar cristallizzare e colmarli con il sorbetto al
lampone. Lasciar indurire in congelatore, dopodiché sformare e riporre
di nuovo in gelo. Lavare gli stampi,
asciugarli con cura, porvi un cucchiaio
di gelatina di mela e pressarvi all’interno il “cuore ghiacciato” di lampone
sino a far quasi fuoriuscire la gelatina
dai bordi. Lasciar riposare in congelatore per 2 ore, sformare e affettare
a spicchio la mezza sfera, ottenendo
così delle piccole “false” fette d’anguria.
IL FRUTTO DELLA PASSIONE
Per il guscio: 300 g di mirtilli freschi,
1,8 g di agar agar, 1 foglio di colla di
pesce. Per il fior di latte: 1 l di latte
fresco, 180 g di zucchero semolato,
20 g di destrosio, 25 g di latte intero
in polvere, 80 g di panna fresca 35%
m.g. Per il sorbetto al mango: 1 kg di
purea di mango, 870 g d’acqua, 280
g di zucchero semolato, 70 g di succo
di limone, 100 g di glucosio.
PROCEDIMENTO
Per il guscio. Portare il succo di mirtilli
con l’agar agar a bollore, raffreddare rapidamente e lasciar riposare in
frigorifero per 2 ore. Frullare a crema
ed eliminare le bolle d’aria con il sottovuoto. Per il fior di latte. Miscelare
zucchero, destrosio e latte in polvere.
Scaldare il latte fino a 50°C, unire
la miscela a base di zuccheri e latte
in polvere e portare a 80°C. Unirvi
la panna e rialzare la temperatura a
88°C. Abbattere sino a 4°C e mantecare.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Versare il sorbetto al mango in stampi
a semisfera da 1,5 cm di diametro e
congelare. Colmare a 3/4 con il fior di
latte alcuni stampi a semisfera da 4
cm di diametro. Inserire al centro un

inserto di sorbetto al mango e congelare. Liberare gli stampi, lavarli, porvi
un cucchiaino colmo di gelatina ai
mirtilli e pressarvi un cuore di “fior di
latte-mango”. Mettere in congelatore.
Sformare e con l’aiuto di un coltellino ritoccare eventuali sbavature. Al
momento del servizio, finire il tutto
coprendo con frutto della passione
fresco.
IL “FALSO” COCCO
Per il guscio: 300 g di latte, 40 g di
glucosio, 3 g di agar agar, 70 g di
cioccolato fondente al 70%, 30 g di
cioccolato al caramello al 35%. Per il
fior di latte al cocco: 1 l di latte fresco,
180 g di zucchero semolato, 20 g di
destrosio, 25 g di latte intero in polve-

re, 80 g di panna fresca 35% m.g., 100
g di farina di cocco.
PROCEDIMENTO
Per il guscio. Pesare i cioccolati in
un contenitore capiente, far bollire il
latte con il glucosio e versarlo in tre
stampi sul cioccolato, emulsionando
con spatola flessibile dal centro verso
l’esterno. Rimettere la preparazione
in pentola, unirvi l’agar agar, bollire e
far raffreddare rapidamente. Lasciar
riposare in frigo a 4°C per 2 ore. Trascorso il tempo frullare a crema e sottovuotare. Per il fior di latte al cocco.
Miscelare zucchero, destrosio, latte
in polvere e farina di cocco. Scaldare
il latte fino a 50°C, unire la miscela
a base di zuccheri e latte in polvere

e portare ad 80°C. Unirvi la panna e
rialzare la temperatura a 88°C. Abbattere sino a 4°C e mantecare.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Foderare uno stampo ovale e tondo con carta alluminio. Con la sac à
poche creare uno strato di gelatina al
cioccolato, colmare con i cuori di fior
di latte al cocco e congelare. Sformare e spaccare in modo irregolare,
andando a ricreare la noce di cocco
rotta.
PRESENTAZIONE FINALE
Servire la frutta su ghiaccio tritato e
rifinire con fiori edibili.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 31

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GIOVANI TALENTI / marco stabile

la nuova
cucina
toscana

I sapori della memoria assumono
forme contemporanee.
I piatti quotidiani si fanno eccezionali.
E la toscanità vola libera
con le ali della modernità
Di cristina viggè; foto di paolo picciotto

Ristorante Ora d’Aria
Via dei Georgofili, 11R
51022 Firenze
Tel. 055 2001699
www.oradariaristorante.com
Chef: Marco Stabile

Più che un’Ora d’Aria è un vento di passioni quello che si
respira nell’antro goloso di Marco Stabile. Uno dei Jeunes Restaurateurs d’Europe che fa brillare la sua stellina
Michelin in via dei Georgofili. A due passi dal Lungarno e
dalla Galleria degli Uffizi e nel bel mezzo della tangente
che passa fra Ponte Vecchio e Piazza della Signoria. Una
posizione di tutto rispetto per un ristorante che solo pochi
anni fa era vicinissimo al vecchio carcere delle Murate e
che ora si è guadagnato il cuore di Firenze. In tutti i sensi.
Perché Marco, classe 1973 e pisano di Pontedera, ci sa fare.
Con i suoi modi dolcissimi. E col piglio sicuro di un cuoco
che è un perfetto padrone di casa, che sta a capo di una
brigata formata da una decina di ragazzi talentuosi (come
il sous-chef Massimo Bocus) e la cui aspirazione è quella di
forgiare la nuova cucina toscana.
Sì, una cucina capace di sciacquare i suoi piatti in Arno.
Cogliendo l’antico e il moderno. Le radici e il futuro. L’aura
rinascimentale e l’allure contemporanea. Perché se i gusti
possono e devono rimanere quelli veraci e nostrani (toscani
o meno che siano), le forme possono cambiare. Evolvendosi

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 33

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

in un minimalismo estetico e in una geometrica concezione
della pietanza che va decisamente verso Oriente. E così il
maialino morbido-croccante, cotto a bassa temperatura e
arrostito (solo dalla parte della cotenna), nonché le bietole
alla senape nera che lo corredano si fanno rettangolari. In
una regolarità spezzata solamente da un omaggio al Pointillisme, regalato dalla salsa d’aglio e lavanda e dal ristretto
della carne. E anche il crostino toscano visto da un mezzo
siciliano (il papà di Marco è originario di Sambuca di Sicilia,
in provincia di Agrigento) assume una foggia sferica. E
una consistenza diversa da quella consueta. Sublimando in
arancina dal manto di pane e dalla farcia di fegatini di pollo,
angelicati dal Vin Santo. Pronto pure a unirsi all’acqua per
accogliere quattro tagli molto speciali: lingua e guancia di
Chianina; palato e cappello del prete di Razza Bovina Piemontese griffata La Granda. Affumicata (prima) con legno
di ulivo, tiglio e melo (a ricordare il sentore dei caminetti e
della cucina a legna di un tempo) e cotta (poi) per almeno
quattro ore. Al fine di ottenere il bollito secondo Stabile.
Che non dimentica certo Giotto, mettendo a punto il cerchio perfetto. Una preziosa aureola di crema allo zafferano

la pera alla piastra; e la tartare si fa super. Impreziosita da
mela, dragoncello e uovo sodo tritato ma (soprattutto)
messa a marinare per due minuti nella Pilsner Urquell. La
birra pils per eccellenza, prodotta nella storica fabbrica
ceca di Pilsen con acqua autoctona, orzo boemo e moravo e fiori di luppolo Saaz. Per una bionda poco alcolica, a
bassa fermentazione e a triplice decozione, dalla sottile
dolcezza e dall’amaro vellutato. Perfetta tanto nelle ricette
quanto nel calice.
Dove finiscono molte altre belle spumeggianti. Siglate Baladin, Birrificio del Ducato, L’Olmaia e Birrificio Italiano. “Ne
teniamo sempre una quindicina in carta”, spiega lo chef. “E
le cambiamo spesso. Un po’ perché le birre artigianali sono
stagionali e hanno vita breve. Un po’ perché se i piatti mutano devono variare anche le birre che li accompagnano”. E
non ha tutti i torti il saggio chef. Che, ne la guida de l’Espresso, ha ricevuto una menzione speciale per “Le Tavole
della Birra” e, a Identità Golose, si è aggiudicato il premio
“Birra in Cucina”. A conferma della sua passione per l’ars
brassicola, alimentata dalla costante ricerca di rare chiare,
rosse e brune (e mi fa assaggiare la scura Lom al Marron

di San Miniato, affiancata da croccante alle mandorle e da
tre elementi ghiotti, a rammentare i marmi bianchi, rossi
e verdi che compongono il giottesco campanile cittadino:
composta di melagrana e rosa, gelatina di spinaci e ganache di cioccolato bianco al pepe.
Ma Stabile non mira solamente alla rilettura dei sapori della
memoria in veste inedita, innovativa e seduttiva. Vuole
anche rendere eccezionale la portata più “banale”. Proponendola addirittura, al mezzodì, in formato tapas. In un
menu (illustrato da Gianluca Biscalchin) che contempla
piatti serviti sia in quantità normale sia in porzione mignon
(ma si mangia eccome!) e circa a metà prezzo. Risultato?
Un successone. “Abbiamo rilanciato il mezzogiorno fiorentino”, racconta orgoglioso Marco. Mentre manda alle terme
l’uovo di Paolo Parisi, facendolo cuocere in acqua a 65°C
per una ventina di minuti e distendendolo su una fonduta di
carciofi all’empolese. Intanto, lo spaghettino Martelli (azienda pisana con sede a Lari) sposa l’Olio Extravergine di Oliva
Toscano Igp Colline di Firenze, il pepe e il Parmigiano Reggiano stravecchio; l’hamburger, tenerissimo mix di manzo
La Granda e guancia affumicata di Cinta Senese, incontra

Buono di Marradi). Non dimenticando il vino, di cui vanta
più o meno settecento etichette (toscane, italiane e francesi), anche di piccole maison.
Del resto, Marco adora le cose autentiche. Come le verdure del contadino, il fagiolo ciavattone di Sorano, il cece
rugoso della Maremma, la patata bianca del Pero e le farine
macinate a pietra. Nobilitate in prelibatezze preparate con
cura assoluta e presentate in un luogo d’atmosfera. Con
tanto di ampia cucina-fucina a vista (e affaccio sul vicolo),
di elegante sala al pianterreno e di suggestivo spazio con
caveau-cantina al piano inferiore. Dove campeggia pure
un antico arco romano. E al desco? Raffinati tovagliati e
posate in argento per la cena; tovagliette e posate brunite
per il pranzo a prova di tapas. E per un ristorante formale e
informale. Camaleontico come il giorno.
Nel frattempo, il cuoco pisano guarda Oltrarno. E se a Miami segue come non resident chef un locale quale il Toscana
Divino, inanella pure eventi a Mosca, a San Pietroburgo e
al MoMA di New York. “Mi garberebbe di aprire anche a
Londra e a Parigi”, aggiunge Stabile. Con simpatico accento
toscano.

34 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

L’UOVO
DELLE TERME
CON FONDUTA
DI CARCIOFI
E SALE NERO

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
4 uova biologiche (meglio se quelle di
Paolo Parisi); 2 carciofi morelli; 1 scalogno; olio extravergine d’oliva toscano
Igp; 2 rametti di prezzemolo fresco; 2
pomodori pelati; sale nero delle isole
Hawaii (arricchito di carbone vegetale); sale di Maldon.
PROCEDIMENTO
Cuocere le uova in acqua a 68°C per
20 minuti. Nel frattempo, tagliare lo
scalogno a julienne, lasciarlo appassire nell’olio e un goccio d’acqua,
aggiungere i carciofi tagliati in piccoli
quadretti e il pomodoro passato.

Far cuocere per 6-7 minuti e regolare
di sale. Tritare finemente il prezzemolo
e diluirlo con poco olio extravergine
d’oliva.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Mettere la fonduta di carciofi ben
calda nel piatto e aggiungere l’uovo, aprendone il guscio e facendolo
scivolare al centro. Versare un filo
d’olio al prezzemolo intorno all’uovo e
aggiungere il sale nero direttamente
sul bianco dell’uovo.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 35

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

IL CROSTINO
TOSCANO
VISTO DA
UN MEZZO
SICILIANO

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 g di fegatini di pollo ben puliti;
1 cipolla rossa di Certaldo; 2 cl di Vin
Santo del Chianti; 3 foglie di salvia;
pane panko; 100 g di burro piemontese; 2 bianchi d’uovo; 100 g di farina
di riso; 100 g di mascarpone; 1 lime
grattugiato; 50 g di insalatine; olio
extravergine d’oliva; olio di semi di
arachide per friggere; aceto balsamico
di Reggio Emilia; sale di Maldon.
PROCEDIMENTO
Tagliare la cipolla a julienne, metterla
in una casseruola con la salvia, un filo
d’olio extravergine e un bicchiere d’acqua. Far appassire.
Rosolare i fegatini nell’olio extravergine, aggiungerli alla cipolla e bagnare
col Vin Santo. Portare a cottura. Versare nel Robot Coupe, aggiungendo
il burro in piccoli pezzi. Aggiustare di
sale e pepe. Passare al setaccio, far
raffreddare l’impasto e formare delle
piccole sfere. Passarle nella farina di
riso, nel bianco d’uovo sbattuto e poi
nel pane panko. Friggerle a 170°C in
olio di semi di arachide finché non
saranno dorate.
Lavorare il mascarpone con la scorza
di lime e poco sale.

36 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

FINITURA E PRESENTAZIONE
Servire i crostini-arancini ben caldi,
appoggiandoli sopra un cucchiaio
di mascarpone. Accompagnare con
insalatine condite all’Aceto Balsamico
di Reggio Emilia.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 37

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

LA SUPER
TARTARE
MARINATA
NELLA BIRRA
URQUELL

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
320 g di fassona piemontese pura
(scamone); 200 cl di birra Pilsner Urquell; 70 g di sale di Maldon; 20 cl di
olio extravergine d’oliva del Chianti; 1
pera Williams; pepe selvaggio del
Madagascar macinato al momento; 1
vaschetta di shiso green.
PROCEDIMENTO
Tagliare la carne in sottili fette alte 5
millimetri e porle in una terrina. Ricoprirle di birra ben fredda e lasciarle
marinare per circa 3 minuti. Asciugare, tagliare in piccoli cubi e condire,
nell’ordine, con pepe, sale di Maldon
e olio. Lavorare bene finché l’olio non
venga completamente assorbito dalla
carne.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Posizionare la tartare nel piatto e
incoronarla con i bastoncini di pera
cruda (facilitano la digestione della carne). Accompagnare con shiso
green (sesamo selvatico), che dà un
tocco aromatico alla tartare.

38 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 39

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

I TORTELLIDI
CAVOLFIORE
SU CREMA DI
TOPINAMBUR
E OLIO
AL LIME

40 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per la pasta: 200 g di farina grano tenero “0”; 90 g di acqua. Per il ripieno:
100 g di cavolfiore; sale di Maldon.
Per la salsa: 200 g di topinambur;
olio extravergine d’oliva; acqua; sale
di Maldon. Per la finitura: lime grattugiato; semi di papavero; veli di zucca
gialla.
PROCEDIMENTO
Per la pasta dei tortelli. Impastare il
tutto in pochissimo tempo, chiudere
in una busta e far riposare almeno 30
minuti. Per il ripieno. Tagliare il cavolfiore in piccolissimi pezzi, metterli
in una casseruola con poca acqua e
farli cuocere finché non si saranno
ben asciugati. Tritare finemente e
aggiustare di sale. Per la salsa. Pelare
i topinambur, tagliarli in piccoli pezzi,
metterli in una casseruola con acqua
e olio e portarli a cottura. Passare
al mixer fino ad ottenere una crema
molto liscia.

FINITURA E PRESENTAZIONE
Velare il piatto con la salsa, appoggiarvi i tortelli conditi con olio extravergine d’oliva, lime grattugiato,
semi di papavero e veli di zucca gialla
cruda.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 41

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

42 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

GLI SPAGHETTI
ALL’OLIO
TOSCANO IGP,
PARMIGIANO
E PEPE

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
320 g di spaghetti del Pastificio Martelli; 80 g di olio extravergine d’oliva
toscano Igp; 150 g di Parmigiano Reggiano stagionato almeno 28-30 mesi;
pepe nero della Malesia; sale.
PROCEDIMENTO
Far bollire gli spaghetti in abbondante
acqua salata, toglierli a metà cottura
e finirli di cuocere in circa 1/2 litro di
acqua calda non salata, in modo che
piano piano la pasta si asciughi e l’acqua si saturi di amido.
FINITURA E PRESENTAZIONE
A cottura ultimata, aggiungere l’olio
a filo e poco Parmigiano Reggiano,
mantecando bene. Impiattare e aggiungere il pepe e il Parmigiano.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 43

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

IL MAIALINO
MORBIDO
CROCCANTE
CON SALSA
DI AGLIO
E LAVANDA,
BIETOLE ALLA
SENAPE NERA

44 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 16 PERSONE
Per il maialino morbido-croccante: 1
maialino da latte di circa kg 5-6; sale
pepe; spezie a scelta. Per la salsa di
aglio e lavanda: 2 teste d’aglio (pulite
in spicchi, senza germinatura interna);
30 cl di panna fresca; 1 g di lavanda
per tisane; 10 g di burro. Per le bietole:
800 g di bietole; olio extravergine di
oliva; chicchi di senape nera; sale.

PROCEDIMENTO
Per il maialino. Disossare il maialino
ottenendo 4 rettangoli, aggiungere
sale, pepe e spezie. Mettere sottovuoto e far cuocere a bassa temperatura (65°C) per circa 15 ore. Lasciar
riposare in frigorifero per almeno 2
giorni. Con le ossa, il sedano, la carota
e la cipolla ottenere un fondo ristretto.
Tagliare ogni quarto in 4 pezzi a sua

volta e incidere la pelle. Passare in
salamandra per 9 minuti o in padella
antiaderente con olio fino ad ottenere
la pelle croccante. Per la salsa di aglio
e lavanda. Sbollentare per 3 volte gli
spicchi d’aglio in acqua bollente, poi
farli imbiondire lentamente nel burro,
aggiungere la panna e la lavanda. Far
cuocere per 5 minuti e poi passare nel
mixer, fino ad ottenere una salsa liscia

ed omogenea. Aggiustare di sale.
Per le bietole. Cuocere le bietole in acqua salata, tritarle con il coltello, farle
saltare in olio extravergine d’oliva.
Spolverare con chicchi di senape nera
e aggiustare di sale.

striscia di bietole e a sinistra una striscia di salsa d’aglio e lavanda. Cospargere la superficie del maialino con il
sale di Maldon.

FINITURA E PRESENTAZIONE
Mettere il maialino ben caldo al centro
del piatto, posizionare a destra una

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 45

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

TUTTO FUMO
E NIENTE
ARROSTO:
IL BOLLITO
SECONDO
STABILE

46 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 g di lingua di vitellone di razza
Chianina; 200 g di guancia di vitellone di razza Chianina; 200 g di palato
di vitellone di razza piemontese; 200
g di cappello del prete di vitellone di
razza Piemontese; 400 g di verdure
di stagione; 2 dl di vin santo; 1 costa
di sedano.
PROCEDIMENTO
Affumicare tutte le carni con legna
di ulivo, tiglio e melo. Metterle poi a
bollire in acqua, aggiungendo il Vin
Santo, la costa di sedano e pochissimo sale di Maldon. Far sobbollire len-

tamente per almeno 3 ore. Scottare
le verdure tagliate in forme regolari e,
con il cavolo nero, ottenere un “agar
agar”.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Tagliare il bollito e mettere nel piatto
ben caldo con intorno le verdure.
Irrorare con il brodo fatto restringere
di almeno 10 volte.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 47

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

L’AUTUNNO E
I SUOI FRUTTI

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per i bauletti alle castagne: 40 g di
farina di mandorle; 240 g di zucchero
semolato; 20 g di albume; 200 g di
burro morbido; 7 uova; 100 g di farina
“00”; 100 g di farina di castagne; 10 g
di baking. Per le castagne: 16 castagne; 1/2 litro d’acqua; 1 cucchiaio
abbondante di miele; qualche foglia di
alloro. Per la salsa ai cachi: La polpa di
un grosso caco (circa g 100); 50 g di
zucchero; 1/2 bacca di vaniglia; il succo di mezzo limone. Per la finitura:
timo q.b.; gelato alla crema q.b.; olio
nuovo q.b.
PROCEDIMENTO
Per le castagne cotte. In una casseruola, portare a ebollizione tutti gli
ingredienti e cuocere le castagne
precedentemente private della buccia
finché non sono morbide, pur mantenendo la propria forma.
Per i bauletti alle castagne. In una
planetaria, montare il burro con 140
grammi di zucchero semolato, la
farina di mandorle e 20 grammi di
albume. Unire poi i tuorli delle 7 uova,
le farine e il baking. Mescolare fino
ad ottenere un impasto omogeneo.
A parte, montare gli albumi con i re-

48 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

stanti 100 grammi di zucchero e unire
al precedente impasto, mescolando
delicatamente e facendo attenzione
a non smontarlo. Trasferire il composto così ottenuto in piccoli stampi da
plum cake precedentemente imburrati
e cuocere in forno già caldo a 185°C
per 30 minuti. Sfornare e bagnare
con un po’ di sciroppo di cottura delle
castagne. Per la salsa di cachi. In una
casseruola chiusa con un coperchio,
cuocere tutti gli ingredienti per circa
20 minuti. Se necessario, filtrare con
l’aiuto di un setaccio.
FINITURA E PRESENTAZIONE
In un piatto disporre due bauletti alle
castagne. Guarnirne ciascuno con due
castagne cotte e qualche foglia di
timo fresco. Ornare con qualche cucchiaiata di salsa e una pallina di gelato
alla crema, bagnata con qualche goccia di olio nuovo.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 49

GIOVANI TALENTI / MARCO STABILE

50 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

IL CAMPANILE
DI GIOTTO

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per la ganache al cioccolato bianco:
100 g di latte; pepe in grani q.b.; 275 g
di cioccolato bianco; 25 g di burro;
5 g di colla di pesce. Per la composta
di melagrana e rose: 250 g di succo di
melagrana; 175 g di zucchero semolato; Il succo di mezzo limone; qualche
goccia di essenza di rosa. Per la salsa
allo zafferano: 250 g di latte; 50 g
di zucchero; 20 g di maizena. Per la
gelatina di spinaci: 250 g di succo di
spinaci (da g 500 di spinaci crudi e
centrifugati); 2 g di agar agar; 2 g di
colla di pesce. Per il croccante alle
mandorle: 35 g di latte; 35 g di glucosio; 90 g di burro; 150 g di zucchero;
175 g di mandorle affettate.
PROCEDIMENTO
Per la ganache al cioccolato bianco. In
una casseruola, portare a ebollizione
il latte con i grani di pepe in infusione.
Versare il latte (filtrandolo attraverso un colino) sul cioccolato bianco
(precedentemente tritato) e mescolare energicamente con una frusta.
Aggiungere poi il burro morbido a
pezzettini nel composto ancora caldo
e amalgamare bene fino a completo
scioglimento. Trasferire il composto
in uno stampo basso, in modo da
ottenere una placca di circa 1 centimetro di spessore. Lasciare riposare per
almeno 24 ore.
Per la composta di melagrana e rose.
In una casseruola, portare a ebollizione tutti gli ingredienti fino al raggiungimento della consistenza di una
confettura.
Per la salsa allo zafferano. In una casseruola, portare a ebollizione il latte
e realizzare un’infusione di pistilli di
zafferano. Aggiungere poi lo zucchero
e mescolare fino a completo sciogli-

mento. Prelevare una piccola parte di
composto e stemperarvi la maizena.
Unire poi al latte, sempre mescolando con l’aiuto di una frusta, fino al
raggiungimento della consistenza di
una crema.
Per la gelatina di spinaci. Ammorbidire la colla di pesce in acqua. Nel
frattempo, sciogliere l’agar agar in 125
grammi di succo di spinaci freddo.
Mescolare e aggiungere anche lo zucchero. Portare a ebollizione, aggiungere la colla di pesce ben strizzata,
assicurandosi che si sciolga completamente. Togliere dal fuoco e aggiungere il restante succo. Mettere in uno
stampo basso a lasciare solidificare a
temperatura ambiente.
Per il croccante alla mandorle. In
una casseruola, far sciogliere il burro
insieme al latte e al glucosio. Unire
poi lo zucchero e portare il composto a 106°C. Aggiungere le mandorle
affettate e farle leggermente scaldare
e caramellare.
Con l’aiuto di un mattarello, stendere il composto fra due fogli di carta
da forno fino allo spessore di circa 2
millimetri. Lasciar riposare in congelatore per circa 20 minuti, rimuovere il
foglio di carta superiore e cuocere in
forno già caldo a 200°C per il tempo
necessario al raggiungimento di un
colore ambrato.
FINITURA E PRESENTAZIONE
In un piatto disporre, in modo da
descrivere un cerchio perfetto, una
striscia di ganache guarnita con pepe
macinato, qualche pezzo di croccante
alle mandorle, un cerchio disegnato
con la salsa di zafferano e una quenelle di confettura. Disporre al centro
del cerchio un quadrato di gelatina di
spinaci.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 51

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lo chef dall’orecchino di perla, accoglie i buongustai nella bresciana OfficinaCucina
Di allan bay; foto di manuela vanni

Quanti coperti deve avere un ristorante che vuole proporre
alta cucina? Bella domanda. In genere in Italia si dice 30,
40 al massimo, ma poi ci sono dei colossi francesi e spagnoli che superano, e di molto, questa dimensione. Per non
parlare dei cinesi: 30 anni fa andai in un super ristorante di
Singapore che aveva ben mille coperti - ma da buon naso
lungo scoprii, curiosando in cucina, il trucco: c’erano dieci
cucine, ognuna delle quali si occupava di un decimo dei

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 53

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

coperti, proponendo tutte lo stesso menù. Geniale.
Comunque sia, questo numero ottimale dipende da troppi
fattori: location, tipologia di pubblico, rapporto fra clienti
locali e stranieri, flussi estivi, struttura familiare o gestione
manageriale e tanto altro, inclusa la predisposizione d’animo dello chef patron. Dare una risposta univoca è dunque
impossibile. Quindi per ragionare su questo di certo interessante argomento non ci resta che la case history, ovverossia lo studio del singolo caso, per arrivare a intuire poi una
regola generale.
E nessuna case history è oggi più interessante di Andrea
Mainardi e della sua OfficinaCucina di Brescia. Infatti è
un ristorante di alta gamma con… un solo tavolo, che può

contenere da due (chissà se una volta ha cucinato per un
solo cliente, non gliel’ho chiesto…) a otto persone. È aperto
sia a pranzo sia a cena, ma non fanno mai due servizi nello
stesso giorno. Nel senso che lavorano o al mezzogiorno
o alla sera. Il ristorante vanta una sola stanza, che comprende cucina, inevitabilmente a induzione, e tavolo per
i clienti. E funziona così. Un cliente prenota, segnalando
eventuali allergie e intolleranze e magari indicando delle
predisposizioni per certi piatti, ma nulla più. Insomma, in
linea di massima, non conosce il menù che gli sarà proposto
(in pratica, l’opposto del banqueting). Andrea prepara un
menù di dieci portate, comprando esattamente gli ingredienti necessari, non una foglia di basilico di troppo. Il pasto
è, dall’inizio di quest’anno, accompagnato da una selezione
di vini e altre bevande da 30, 50 o 80 Euro a testa. Andrea

54 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

lavora con solo un aiuto per la cucina e uno per servire i
piatti, che diventano due se i clienti sono più di quattro.
Tutto qui. Funziona? Sì, alla grande, basta guardare il libro
delle prenotazioni, per mesi non ci sono buchi e Andrea si
dichiara “molto soddisfatto” del conto economico. Merito
della proposta, stuzzicante e innovativa, merito di Andrea,
che non solo è un bravissimo cuoco ma è molto mediatico,
una virtù che troppi suoi colleghi non sanno dominare.
Andrea è di Bergamo. La famiglia non è del settore, ma già
da piccolo gli piace pasticciare in cucina. Poi scuola alberghiera, con stage in buoni ristoranti, quando si diploma con
grande faccia tosta si presenta da Marchesi, all’Albereta,
che lo assume: ogni tanto succede. Resta lì per tre anni e

Milanese, laureato in economia politica alla
Bocconi, giornalista enogastronomico dal 1994,
Allan Bay è prima di tutto un grande appassionato di cucina e storia dell’alimentazione. Una
prestigiosa firma, che ci guida alla scoperta dei
nuovi talenti della ristorazione moderna.

mezzo, con Berton come chef, facendo un po’ di tutto. Poi
vari lavori in top ristoranti. Una sera, credo grazie a quella
che si chiama in gergo creatività da transaminasi elevata,
“immagina” il suo locale – e lo trova, curiosamente al primo
piano di un solido ristorante di Brescia, i Monaci Sotto le
Stelle. Da grande? Non ha dubbi: un ristorante che propone
solo polpette alle Maldive. No, precisa, meglio a Bahia, è
una location più divertente.
Ristorante OfficinaCucina
Via San Zeno, 119
25124 Brescia
Tel. 333 3020033
www.officinacucina.com
Chef: Andrea Mainardi

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 55

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

a tutto
storione!

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 g di filetto di storione; 1 lingotto
al caviale; succo di zenzero; 100 g di
latte scremato; 40 g di olio di caviale;
sale; pepe nero.
PROCEDIMENTO
Pulire e mondare lo storione. Versare il
latte in una ciotola, inserire lo storione
e farlo marinare per 4 ore. Scolarlo,
disporlo in uno stampo cilindrico e
passarlo in abbattitore.
Montaggio. Affettare il cilindro di
storione e disporre le fette sul piatto
di portata. Condire con sale e pepe
a piacere e decorare con le foglie di
caviale ottenute dal lingotto affettato,
l’olio del caviale e qualche goccia di
succo di zenzero.

56 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 57

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

58 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

uovo...
al caviale

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
4 uova grandi; 10 g di caviale Calvisius; 16 conchiglie di semola di grano
duro; erba cipollina; 40 g di acqua;
olio di nocciole; sale; pepe bianco.
PROCEDIMENTO
Sbollentare le conchiglie in acqua
leggermente salata per 2 minuti e
raffreddarle subito in acqua e ghiaccio. Sbattere energicamente i tuorli
e gli albumi, eliminare la schiuma e
lasciar riposare per almeno 30 minuti.
Ripetere l’operazione per 3 volte, poi
aggiungere l’acqua e regolare di sale
e pepe bianco. Versare il composto
così ottenuto nelle pasta e cuocere “a
vapore” a 85°C per 10 minuti.
Montaggio. Disporre 4 conchiglie per
ogni commensale. Condire con l’olio
di nocciole, l’erba cipollina tagliata
finemente e il caviale.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 59

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

SPAGHETTI
ALLA
CARBONARA
DI GAMBERI
E CAFFÈ

60 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
280 g di spaghetti di semola di grano
duro; 40 g di yogurt magro; 1 mandarino; 1 tuorlo; 20 gamberi rossi; 50 g di
guanciale; chicchi di caffè; polvere di
caffè; maggiorana; olio extravergine di
oliva; sale; sale affumicato; pepe nero.
PROCEDIMENTO
Preparare una crema a bagnomaria con lo yogurt, il tuorlo e il succo
del mandarino. Insaporire con il sale
affumicato. Nel frattempo, sgusciare i
gamberi e marinarli in una ciotola con
1 bicchiere di olio profumato con il
guanciale tagliato a cubetti e i chicchi
di caffè. Dopo 1 ora, scolare i gamberi
e rosolarli in una casseruola insieme
al guanciale. Cuocere gli spaghetti in
acqua leggermente salata al bollore. A
cottura ultimata, scolarli e mantecarli

con la crema allo yogurt. Montaggio.
Impiattare la pasta al centro dei piatti
da portata, disporre sopra i gamberi,
qualche fogliolina di maggiorana e
una spolverata di polvere di caffè.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 61

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

la mia
caprese

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
2 astici da 200 g l’uno; 2 b; 4 pomodori ramati; 5 g di tabacco da pipa alla
vaniglia; basilico fresco; olio extravergine di oliva; aglio in polvere; 50 g di
panna fresca; sale.
PROCEDIMENTO
Sbianchire i pomodori, privarli della
buccia e dei semi. Frullarli col frullatore a immersione e far perdere l’acqua
su una garza. Con l’acqua ottenuta
cuocere l’astice sottovuoto a 70°C per
circa 2 ore e 30 minuti.
Recuperare poi la polpa del pomodoro e condirla con poco olio, 1 presa di
basilico spezzettato, 1 pizzico di polvere d’aglio e sale a piacere. Cuocere
la polpa delle banane sottovuoto con
la panna e il tabacco a 70°C per 20
minuti. Montaggio. Impiattare, distri-

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buendo la vellutata di pomodoro sui
piatti da portata e disponendo sopra
le rondelle di astice alternate alle banane ben sgocciolate.

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l’angolo di allan bay / andrea mainardi

64 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

il salmì
concentrato

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 g di polpa di fagiano; 2 patate; 1
cipolla; 1 pera; 4 fette di pane casereccio; cacao amaro; arachidi tostate;
burro; zucchero; aceto balsamico invecchiato; calvados; 1 l di vino bianco;
sale; pepe nero.

Frullare il tutto, regolare di sale e di
cacao amaro e disporre il composto in
stampi di silicone. Passare in abbattitore. Sbucciare la pera, tagliarla a
cubetti, rosolarla nel burro per alcuni
minuti in una casseruola, poi sfumare
con il Calvados. Aggiungere lo zucchero e l’acqua e far sciroppare.

PROCEDIMENTO
Mondare il fagiano. Lavare e mondare
le patate e la cipolla e tagliarle grossolanamente. Far marinare il fagiano
in una ciotola con il vino bianco, le
patate e la cipolla. Ogni 2 giorni far
ridurre di un terzo il liquido e ripetere il passaggio per 3 volte, arrivando
quindi al sesto giorno con una consistenza sciropposa. Mettere il tutto in
una casseruola e ultimare la cottura,
aggiungendo di tanto in tanto dell’acqua per evitare che asciughi troppo.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 65

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

66 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

pernice alla
cacciatora

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per la meringa: 5 g di albumina
liofilizzata; 170 g di isomalto; 95 g di
acqua di cipolla rossa; 2 g di sale. Per
la pernice: 1 pernice da 500 g; 20 pomodorini datterini; 50 g di olive taggiasche; 2 spicchi di aglio; senape in
crema; miele di castagno; zucchero a
velo; 200 g di vino bianco secco; 200
g di grasso d’oca; sale; pepe nero.

Cuocere la pernice in una casseruola
con il grasso d’oca, il vino, l’aglio e il
sale per circa 3 ore e 30 minuti.
Montare. Impiattare mettendo qualche goccia di senape lavorata con il
miele sul fondo del piatto. Unire la
meringa sbriciolata, le olive taggiasche essiccate e tritate finemente, i
pomodorini e dei bocconi di pernice.

PROCEDIMENTO
Preparare una meringa montando
l’isomalto con l’albumina, l’acqua di
cipolla rossa e il sale. In un essiccatore, essiccare in un piano la meringa
a 70°C per 5 ore, in un altro le olive
taggiasche denocciolate e sbianchite
per 1 minuto in acqua, e nell’ultimo i
pomodorini privati dei semi e spolverati a velo con zucchero e sale.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 67

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

zucchina!!!

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 g di zucchine selvatiche; 50 g
di tuorlo; 4 fiori di zucchina; 50 g di
fegato grasso; 100 g di scampi; cardamomo; pinoli; uvetta; vino Porto; 120
g di panna fresca; olio extravergine di
oliva; sale.
PROCEDIMENTO
Pulire e mondare gli scampi, privarli
del carapace e del budellino nero. Preparare una crema lavorando il fegato
con il Porto, 1 pizzico di semi pestati di
cardamomo e sale a piacere. Trasferire
il composto in un sacchetto apposito,
mettere sottovuoto e cuocere a bagnomaria a 85°C per 15 minuti.
Tagliare le zucchine a cubetti e rosolarle a calore vivo con poco olio in una
casseruola. Frullare e trasferire il tutto
in un colino a maglia finissima per

68 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

far perdere l’acqua in eccesso. Amalgamare il composto ottenuto con la
panna e il tuorlo, versare in stampi di
silicone a mezza sfera e infornare a
vapore per 1 ora a 75°C. Abbattere e
sformare.
Montaggio. Impiattare la mezza sfera
cosi ottenuta sul carpaccio di scampi.
Decorare con la crema di fegato grasso ottenuta e pennellare con i fiori di
zucchina frullati per immersione con
10 g di olio e sale a piacere. Disporre
infine con uvetta ammorbidita in acqua calda e strizzata e i pinoli tostati.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 69

l’angolo di allan bay / andrea mainardi

GHIACCIOLO
DI OSTRICA,
LIMONE
E LIQUIRIZIA

70 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
2 ostriche; 130 g di zucchero; 30 g di
caramelle di liquirizia pura; 1 limone;
acqua; vodka.
PROCEDIMENTO
Sbucciare il limone, tagliare la polpa
a dadini e spremerla per ottenere il
succo e filtrarlo. Mettere il tutto in
una casseruola con 100 g di zucchero
e 100 g di acqua e cuocere per 20
minuti. Frullare per immersione grossolanamente. Passare la “marmellata”
in abbattitore per raffreddarla rapidamente, quindi unire la vodka.
Frullare le caramelle di liquirizia con
30 g di zucchero e 30 g di acqua,
portare al bollore e far raffreddare in
abbattitore.
Aprire le ostriche e versarne il contenuto in una ciotola.

Colare lo sciroppo di liquirizia in 4
stampi a ghiacciolo, creando un primo
strato e abbattere. Distribuire sopra
lo strato di liquirizia, poi la marmellata
di limone e vodka, abbattere nuovamente. Terminare con il terzo strato
versando 1 velo di acqua di ostrica
passata attraverso un colino a maglie
fini.
Le proporzioni da tenere in considerazione per ogni ghiacciolo prevedono
il 70% di succo di limone, il 25% di
frullato di liquirizia e il 5% di acqua di
ostrica.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 71

/ glam

seducente
eleganza
di oscar cavallera

Snack salati che sembrano dolci, golosità che sublimano in gioielli e un ambiente raffinato che avvolge
e coinvolge l’ospite. Allo Stay di Dubai, l’assaggiare
diviene attrazione fatale per l’esclusività

O

ltre la cucina. Questo sarà il
tema di una serie di appuntamenti mensili dove ogni
volta cercherò di raccontavi tendenze,
curiosità e idee che nascono nella
ristorazione e che fanno da complemento e da completamento all’offerta
del cibo e del vino. In questa occasione eccomi a raccontare il nuovo
ristorante Stay, aperto da Yannick Alléno a Dubai, presso l’hotel The Palm
One&Only. Un ambiente elegante e
raffinato dove ogni singolo elemento,
dal pavimento alle tende, dai decori
alla mise en place, gioca sui colori
del bianco e del nero. Unica variante
il lato sinistro dell’ingresso dove fa
bella mostra di sé un ricco buffet e
una parete, arredata come una Pastry
Library, che presentano una vasta
selezione di coloratissimi dessert e di
dolciumi. Qui il racconto inizia dalla
fine. Non è casuale ma segue regole

ben precise legate al marketing, alla
comunicazione e alla vendita. L’impatto iniziale è forte. Torte, gelati,
semifreddi, marshmallow, caramelle di zucchero, dolci al cucchiaio e
altre golosità attraggono l’ospite e la
voglia di fotografare lo spazio diventa irrefrenabile. Il primo obiettivo è
raggiunto. I clienti, oltre alla sicura
esperienza gastronomica, si porteranno via uno scatto fotografico che sarà
propedeutico per favorire il passaparola e quindi una comunicazione del
locale di sicuro effetto promozionale
e commerciale. La visualizzazione
dell’offerta fa scaturire la voglia di
acquisto e quindi non vi è cliente che
a fine pasto non si rechi nel paradiso
dei dolci per farsi conquistare da una
delle tante proposte. Questo crea
un contatto con gli chef pasticceri
presenti, che instaurano una perfetta
relazione con il cliente e, conquistan-

dolo ed ingolosendolo, riescono a
fare up-selling, facendogli vivere un
momento gioioso e unico, che serberanno come un bellissimo ricordo.
È evidente che la vendita del dessert
favorisca in seguito la proposta, da
parte del sommelier, di un bicchiere
di vino da meditazione, aumentando
così il fatturato. Ma il concept trova
la sua massima espressione quando
appena seduti a tavola il cameriere
vi offrirà una flûte di champagne (a
pagamento si intende) e con essa vi
arriverà un piattino con piccoli snack,
che sembreranno dei dolci e invece si
riveleranno salati. Come, ad esempio,
un cucchiaio di finta pasta di pistacchio, che al gusto si scoprirà essere
una crema di piselli, o il marshmallow
di salmone o ancora il bignè al formaggio. Il gioco gastronomico ha così
oltre ad una fine anche un inizio.
g www.oneandonlythepalm.com

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 73

/ style

U

mica in base al punto di vista e simile
a un bouquet di fiori mosso dal vento.
Alle spalle del bar, un pannello bianco
ripropone lo stesso motivo floreale
con rami luminosi (luci a sospensione)
in alluminio bianco. Quinte composte
dall’intarsio di numerosi dischi di forma
rotonda (in rovere tinto, marmo verde
Ming e cristallo riflettente color bronzo) delimitano le varie aree del locale,
così come disegnano il controsoffitto
della sala ristorante, adibito a vano tecnico e a sistema di insonorizzazione.
Sala che è raggiungibile da una scala di
tre gradini, costituiti da singoli blocchi
di marmo verde a “L” rovesciata che
sembrano sospesi dal pavimento, in
quanto gli ancoraggi non sono visibili,

n luogo inaspettato, fra via
Monte Napoleone e il Teatro
alla Scala. È il giardino del
Museo Poldi Pezzoli, scenografia green
del bistrot-pasticceria che, a pochi
mesi dall’apertura, ha già un parterre
di affezionati frequentatori. Corsia del
Giardino prende il nome dalla neoclassica via Manzoni, famosa a Milano per i
giardini segreti dei suoi storici palazzi.
Nell’oltrepassare la galleria di accesso
alla corte e via Manzoni si rimane folgorati dal verde acceso delle imponenti piante che si fondono con l’azzurro
del cielo e con l’intensa luce del luogo
aperto, contrapposta alla penombra
della galleria commerciale. È quanto è
accaduto all’architetto Nicola Gisonda,

corsia del giardino milano
dolce e salato nel verde
di margherita toffolon; foto di matteo piazza

Il
pro
ge
to

Coniuga, in modo naturale e contemporaneo, dolce e salato. È un bistrot
pasticceria con affaccio su uno dei giardini segreti del centro storico di Milano.
Con grande giovamento per gusto e vista
Progetto architettonico: arch. Nicola Gisonda // Fornitore e lavorazione marmi: Gottardo Alimonti // Pavimento in resina dei bagni: Kerakoll
Apparecchiature per la ristorazione: Electrolux // Banchi beverage e food: Prima // Illuminazione: Luceplan

che ha progettato un locale, con pianta
a “L”, senza contrasti: interno ed esterno sono in continuum e vegetazione,
spazio e giardino diventano un’entità
unica. Le grandi vetrate affacciate
verso il verde e verso l’ampia corte, che
si sviluppa sino alla via principale, ne
aumentano l’effetto naturalistico così
attraente per il contesto metropolitano
meneghino. Vocazione sottolineata
dall’interior design che si ispira alle
geometrie e ai colori della natura, interpretate in modo concettuale e simbolico attraverso linee verticali irregolari
(vegetazione) e forme circolari (bouquet di fiori). Duecento i metri quadrati
complessivi con sviluppo a “L”. Di fronte all’ingresso, a cui si accede dalla corte interna, si trovano il corner dedicato
alla pasticceria (Staccoli di Cattolica)
e l’area bar; sulla destra, rialzata di tre
gradini, la sala per i clienti con vista sul
giardino, sul cui fondo è posizionato il

74 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

bancone food a vista, al di là del quale
si trova la cucina, separata da una
vetrata, che unisce e allo stesso tempo
divide gli ambienti.
Gli elementi d’arredo sono tutti
realizzati, su disegno, con materiali
naturali nei toni del verde e il marrone:
dal marmo verde Ming, che riveste i
banconi food-pasticceria-bar, al rovere
tinto testa di moro degli arredi, fino ai
pavimenti in seminato color tortora. I
due banconi parallelepipedi in acciaio e
marmo formano un unico fronte, sebbene quello in marmo, che è ancorato
a quello in acciaio, sembra sospeso, in
contrapposizione al suo aspetto monolitico. Il fronte di entrambi presenta una
complessa e inedita lavorazione, costituita da numerose forature disposte
circolarmente e di diversa profondità,
per formare cerchi su più livelli e parzialmente sovrapposti. Un’immagine
che, per la sua struttura, diventa dina-

simili ad asperità presenti in natura.
Accanto, la pedana per disabili integrata nel pavimento. Sedute, tavoli e
armadiature di servizio ripropongono
il gioco delle linee verticali irregolari.
L’effetto naturalistico è amplificato nei
bagni, rivestiti con lastre di quarzite in
un unico tono uniforme, opportunamente tagliate con l’obiettivo di creare
un fondo impenetrabile color nocciola,
interrotto da liste di cristalli riflettenti di color bronzo, che si intrecciano
verticalmente tra loro. È come trovarsi
in mezzo a un bosco riflettente, i cui
alberi interrompono continuamente la
visuale. Paolo Franchi porta a Corsia del Giardino, per il pranzo e per
l’aperitivo, una cucina improntata sul
recupero della tradizione ma contemporanea nella preparazione, con menu
legati alla stagionalità e alla genuinità
dei prodotti con diverse variabili ogni
giorno.

/ atmosfere

U

n’antica trattoria. L’insegna lo
annuncia, gli occhi confermano: il bersò di glicine all’esterno, la rustica struttura color giallomilano, le imposte tradizionali in legno
scuro. Entrando, sulla destra, una
vetrina mostra cose buone, dai salumi
artigianali alle conserve, mentre a
sinistra si allungano il classico bancone bar e un tavolo con esposizione di
antipasti e prodotti di stagione. Sullo
sfondo il camino, caldo come un tempo, ma protetto da due ante in vetro,
come usa oggi. Il colpo d’occhio è vincente, il luogo e la sensazione positiva
che ispira sono d’immediato fascino.
In realtà l’Antica Trattoria del Gallo,
come la vediamo oggi è il frutto di un

gine si mangiava solo al primo piano),
rese calde dal legno alle pareti, dagli
scaffali di bottiglie e dalle foto colorate e suggestive, ristrutturata la cucina
in chiave razionale e moderna, Paolo
ha proseguito migliorando ogni anno
l’aspetto e facendo dell’antica trattoria
un esempio invidiabile di efficienza.
La cucina - Creare un’atmosfera
significa anche connotare le scelte
della cucina: tradizione lombarda,
qualità delle materie prime, efficienza
e cura nel lavorarle. Senza perdere il
filo delle origini: cotechino, foie gras e
ravioli maison c’erano e restano, come
i polli alla diavola, piatto-simbolo del
locale (fino a 300 alla settimana - per

La cantina - Un vanto (e una passione) di Paolo Reina sono i vini. “All’inizio mi aiutò Brovelli con la sua esperienza di distributore esperto, oggi
abbiamo 1.200 etichette in carta e,
modestamente, siamo in grado di definire da soli le nostre scelte”, spiega
Paolo Reina, mostrando con orgoglio
i tre locali-cantina (climatizzati), il
cui pavimento in legno è realizzato
con listelli di cassette di vini francesi,
mentre gli scaffali contengono vere
chicche da amatori.
La bottega - Novità per il pubblico
(o ritorno al passato per chi ne ha
memoria) è il negozio all’ingresso del
locale, dove si acquistano molte delle

puntuale CHICCHIRIChì
di alex guzzi

Nell’Abbiatense, l’Antica Trattoria del Gallo esprime il suo fascino storico e contemporaneo. Fatto di sana tradizione lombarda, massima efficienza e perfetta
organizzazione in sala e in cucina

meticoloso e appassionato lavoro di
perfezionamento e restauro iniziato
23 anni fa, quando Paolo Reina, poco
più che ventenne compì l’azzardo di
rilevare il locale. Lui del luogo si era
innamorato a prima vista: aveva lavorato lì per una stagione, conosceva
bene la famiglia Gerli, dall’Ottocento
proprietaria dei muri, e si era fatto
promettere dall’anziana titolare che
prima di vendere ad altri avrebbero
chiamato lui.
L’ambiente - Con qualche soldo,
molto entusiasmo e duro lavoro, Reina
ha trasformato poco a poco un locale
disordinato e mal organizzato nell’accogliente ambiente che vediamo oggi.
Riaperte le sale al piano terra (in ori-

noi sono come la pizza, solo espressi - insiste Paolo), ma si è arricchita
nel frattempo la lista delle ricette
classiche (i risotti, il rognone trifolato,
gli involtini con verze, la cassoeula,
i brasati, i grandi dolci), impeccabilmente curate anche nella presentazione. Alla superficie generosa delle
sale aperte al pubblico ne corrisponde
una più ampia non visibile dall’esterno,
che permette di lavorare a ritmi e con
velocità degni di una macchina da
guerra: dodici persone tra sala e cucina, con spazi di lavoro separati per la
linea dei primi e dei secondi piatti, per
la cottura del pollo alla diavola, per i
dolci e la pasticceria, oltre ad un’ampia area di lavaggio stoviglie e una
zona con moderne celle refrigerate.

specialità proposte nel ristorante. È un
omaggio alla storia, al tempo in cui le
osterie nascevano mettendo quattro
tavoli a lato delle botteghe di salumi, di carni, di formaggi e di vino. È
il ritorno alla della vetrina golosa, ma
anche la possibilità, per chi lo vuole, di
gustare a casa ciò che ha conosciuto
e apprezzato al ristorante. Un tocco
in più che completa la piacevolezza di
un luogo che invoglia inevitabilmente
a tornare.

Antica Trattoria del Gallo
Via Kennedy, 1
20083 Vigano Certosino, Gaggiano (MI)
Tel. 02 9085276
g www.trattoriadelgallo.com

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 75

/ NELLA DISPENSA

il lusso del gusto
di manuela vanni

76 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

Caviale, foie gras, salmone e salumi pregiati.
Vengono da lontano ma sono sempre più vicini.
Pronti a corteggiare i palati raffinati con la loro anima glocal

I

n questi ultimi anni è cambiato il modo di produrre e
distribuire il cibo. La globalizzazione e segnatamente l’incredibile crollo dei costi di trasporto permette di avere a
disposizione tutto l’anno prodotti provenienti da Paesi lontani, che però sono al culmine della maturazione. Del resto,
si sa: le ciliegie, nell’Emisfero Sud, sono raccolte a gennaio.
Oggi è più facile acquistare il pregiato caviale iraniano Beluga, avere in carta le costose costate di Wagyu giapponesi
(o di altri Paesi ma in stile giapponese) o i celebri polli di
Bresse, forse i migliori polli del mondo, di certo i più famosi.
Lo stesso discorso può essere fatto per le fragole africane,
le mele neozelandesi e gli asparagi cileni, tutti alimenti di
altissima gamma, buoni perché coltivati all’aperto, raccolti
nel loro periodo migliore e commercializzati rapidamente.
Sono di fatto tipicità locali, ma si possono trovare in molti
ristoranti del Pianeta grazie a una distribuzione globale efficace. Tant’è che si usa chiamare questi prodotti glocal, un
neologismo veramente incisivo.
La libertà di poter seguire la propria creatività in cucina,
indipendentemente dalla stagione, è il vero “lusso” a cui
bisogna e si può aspirare. Non bisogna farsi suggestionare
dal concetto del consumo etico del cibo, di moda in questi
ultimi tempi, che identifica come prodotti accettabili solo
gli alimenti a bassa emissione di anidride carbonica, cioè distanti pochi chilometri dal punto di vendita. Per due motivi,
di cui uno economico. Perché negare a un produttore il diritto di vendere lontano o di esportare lo condanna alla non
crescita (vallo a spiegare ai produttori delle nostre eccellenze, dal Parmigiano Reggiano al Prosciutto di Parma, dalla
pasta all’olio extravergine di oliva e al vino, che tengono in
piedi la nostra agro-industria grazie alle esportazioni). E l’altro funzionale. Perché per valutare le emissioni di CO2 bisogna conteggiare tutta la produzione e non solo il trasporto

finale. Si immagini solo quanta CO2 produrrebbero le serre
dei Paesi nordici per poter avere a disposizione buone verdure fresche. E comunque la cucina di oggi, eclettica e creativa, richiede di uscire dal piccolo mondo della stagionalità
e della localizzazione a tutti i costi. Un prodotto di pregio è
la base da cui partire per la preparazione di qualsiasi piatto,
e in genere non necessita di laboriose trasformazioni essendo già ottimo di suo. Un lingotto di caviale Beluga affettato
su un filetto di pesce, del salmone selvaggio con una salsa
all’aneto o del fegato grasso accompagnato da fette di
pane tostato sono piatti semplici ma prelibati, pronti per
essere serviti. Cucinare con prodotti di lusso è un po’ come
viaggiare su una Bentley: qualsiasi sia il tragitto, rimane
comunque indimenticabile. Certo il costo (quasi) proibitivo
di certi articoli potrebbe lasciare sgomenti di primo acchito,
ma bisogna considerare la scelta di puntare sul lusso al pari
di una strategia di marketing a medio-lungo termine. Come
una vera e propria una campagna pubblicitaria, investire
sulla qualità porta buoni frutti duraturi nel tempo. Offrire
prodotti di altissima gamma è il modo migliore per fidelizzare la clientela. Del resto, si sa che il cliente gourmand apre
facilmente il portafogli se si sente appagato e coccolato.
Nel frattempo, per far quadrare i conti di fine mese, basterà applicare i giusti ricarichi su ogni singolo prodotto. È la
qualità intrinseca del prodotto a garantirne la vendibilità al
giusto prezzo.
In Italia sono diverse le aziende che si occupano di fornire
luxury food per l’alta ristorazione. Ci sono grandi produttori
diretti, produttori che sono anche importatori, importatori
tout court ed esportatori di tipicità locali che non hanno
la forza di investire nella distribuzione. Conoscerli e farsi
consigliare da loro può aiutare nella crescita professionale e
della propria attività.

Lingotto di Caviale Calvisius
Il caviale possiede un valore e una preziosità paragonabili a quello dell’oro. Per
questo Agroittica Lombarda lancia un nuovo, elegante design per il suo prodotto di
punta: il celebre Caviale Calvisius. Che oggi compare sul mercato in un’innovativa e
deliziosa confezione: il Lingotto. Nasce da una tecnica di disidratazione all’avanguardia, che testimonia il grande impegno dell’azienda bresciana nel settore della ricerca
e sviluppo. Il caviale fresco, ottenuto dallo storione bianco, è riposto, senza essere
pressato, entro un’anima di legno di quercia a forma di lingotto, per una stagionatura
di circa due mesi. Trascorso il tempo dovuto, il prodotto ha mantenuto intatto tutto
il suo sapore e le proprietà organolettiche ed è pronto per essere tagliato a lamelle o
grattugiato sopra un’ottima pietanza in abbinamento.
g www.calvisius.it
g www.agroittica.it

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 77

/ NELLA DISPENSA

Salmone Selvaggio del Pacifico
La maggior parte del salmone Oncorhynchus del Pacifico vive in Alaska, dove può
fruire di un’acqua pura e cristallina, ideale per la crescita e la riproduzione. Vive libero
e durante il suo ciclo vitale percorre migliaia di chilometri, dai fiumi di montagna verso
il mare e dal mare verso i medesimi corsi d’acqua da cui era partito per procreare e
terminare il suo ciclo vitale. Si nutre esclusivamente di quanto trova nel suo habitat
naturale (gamberi, aringhe, calamari) e comprende cinque specie: il Red King, il Coho,
il Sockeye, il Pink e il Chun. Ha carni poco grasse, dalla polpa consistente e dal gusto
definito. A usare il pregiato salmone selvaggio siglato Alaska Seafood sono anche
i grandi chef. Fra cui il bistellato Claudio Sadler, nel suo ristorante lungo il milanese
Naviglio Pavese.
g www.alaskaseafood.it

MANZETTA PRUSSIANA
La Manzetta Prussiana è un marchio registrato Jolanda de Colò, che certifica il lavoro
di selezione di animali provenienti da piccoli allevamenti della regione della Masuria,
al confine tra Polonia e Germania. Una carne bovina che riassume in qualche modo
le speciali caratteristiche racchiuse nel Kobe Beef, la preziosa carne giapponese. È
così che l’azienda ha individuato dei piccoli allevamenti dove crescono animali che,
alimentati in modo specifico danno vita a una carne dalla bella marezzatura e dal
sapore intenso. La Manzetta Prussiana connota solo le scottone di età inferiore ai 30
mesi che raggiungono un grado di marezzatura particolarmente intenso.
g www.jolandadecolo.it

Jamón Ibérico Blázquez
È un prodotto unico, appositamente selezionato, ottenuto dal maiale nero e da non
confondere col Serrano di razza suina bianca. Conosciuto come Patanegra, proviene
al 100% da suini allevati nei pascoli boschivi durante il periodo della “montanera” e
alimentati a ghiande. I prosciutti sono stagionati negli secaderos dell’azienda secondo i metodi artigianali tradizionali. Il sapore è particolarmente intenso. Il tempo
minimo di stagionatura è di 36 mesi. Il tutto in sintonia con quanto la razza può
offrire, con il sale che viene aggiunto, con il clima della terra e con la regia dell’uomo
che, grazie all’esperienza maturata, fa del Jamón Ibérico Blázquez un vero prodotto
artigianale con una propria identità e un proprio carattere.
g www.longino.it

foie gras
Rougié è una delle principali aziende produttrici di foie gras della Francia, posizionata nel cuore del Périgord, a Sarlat. La maison associa da sempre tradizione e
innovazione per offrire il migliore fegato grasso di anatra e di oca. Grazie al continuo
perfezionamento dei metodi di lavorazione e delle ricette di preparazione è divenuto il marchio emblema conosciuto dai gourmet di tutto il mondo. Attraverso elevati
standard di qualità Rougié controlla tutta la filiera produttiva: dall’allevamento, nel
pieno rispetto dell’animale, fino al prodotto finale. È nella tradizione centenaria di
Rougié lavorare il foie gras con la massima cura, secondo metodi volti a preservarne
il gusto e l’eccellente qualità, e a garantire la massima sicurezza alimentare. Da Rougié sapore e qualità si fondono per raggiungere l’eccellenza nel risultato: il gusto.
g www.selectaspa.it

78 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

© Fotolia

/ in cucina

non chiamiamole
solo pentole
di manuela vanni

Casseruole e padelle. Pesciere e crêpière.
Tonde e ovali. Alte e basse. In rame e in acciaio,
in argento e in oro. I recipienti per cucinare sono
tanti e variegati. L’importante è conoscerli bene,
per saperli usare nel modo più corretto

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 79

/ in cucina

L

e pentole passano troppo spesso in secondo piano
quando in realtà sono un po’ come le tele dei grandi
pittori: per produrre importanti opere devono essere le migliori. Alluminio, ghisa, ceramica, terracotta, ferro,
rame e argento. E ancora, acciaio, vetro pyrex, pietra e sale.
Diversi sono i materiali con cui possono essere costruite,
così come possono essere smaltate o teflonate e così come
differenti sono i recipienti che vanno sotto il termine generico di pentole. Infatti, in commercio esistono le pentole vere
e proprie, le padelle e le casseruole. Non bisogna confonderle tra loro perché ogni recipiente di cottura ha caratteristiche e usi propri. Poi esiste la qualità di chi le costruisce:
non tutte quelle di alluminio sono uguali… Questo è il punto
fondamentale: senza buone pentole il piatto sarà sempre un
po’ deludente. O se si vuole, non ha senso sprecare buoni
ingredienti utilizzando pentole di bassa gamma.
Premessa importante: i materiali con i quali vengono realizzate. Oggi, grazie alla continua ricerca da parte delle
aziende produttrici, quelle (al top di gamma) in acciaio,
alluminio e teflon in genere possono avere versatili utilizzi.
Per cotture lente, stufati e simili, vanno bene pure quelle in
ghisa, ceramica e terracotta. Che, esteticamente appaganti,

possono essere portate in tavola. Rame (costoso) e argento
(costosissimo), ma anche sale, pietra e simili hanno invece
senso solo se vengono poste sulla tavola dei clienti.
E ora un po’ di definizioni. Le pentole sono generalmente di
forma cilindrica o bombata, hanno un’altezza pari o superiore al diametro, sono munite di manici alle estremità e
sono dotate di coperchi. Profonde e capienti, sono adatte
per la preparazione di minestre, minestroni, brodi e paste,
per lessare carni, pesci, legumi e verdure, per preparare la
passata di pomodoro o le composte. Per la cottura della pasta è bene che la pentola sia stretta e alta perché bisogna
tenere presente che ogni cento grammi di spaghetti o maccheroni ci vogliono almeno uno o due litri d’acqua per cuocerli perfettamente. L’ultima delle pentole da menzionare è
sicuramente la pesciera. Come dice il termine, è progettata
per cucinare pesci interi. Di forma allungata (fino a 80 cm),
generalmente di rame, di acciaio inox o di alluminio, è dotata di griglia interna, detta navicella, con due piccoli manici e
un coperchio. Il pesce va deposto sulla griglia e immerso nel
liquido di cottura. Grazie alle maniglie è poi possibile estrarre la griglia e scolare il pesce delicato e fragile con facilità,
anche quando è ancora bollente, passandolo direttamente

PENTOLE AGNELLI
Le nuove tendenze nella cucina professionale contemporanea, che vanno verso il recupero delle ricette tradizionali adattate alla tecnologia del XXI secolo, hanno spinto
l’Agnelli a creare una nuova linea in ghisa smaltata, la Slow Cook. La ghisa trasferisce
il calore quattro volte più lentamente dell’alluminio e permette al cibo di cuocere
gradualmente, senza perdere i propri liquidi, impedendogli quindi di restringersi.
Grazie al suo elevato calore specifico, la superficie della ghisa si riscalda due volte
più rapidamente dell’alluminio. È l’ideale per preparare del cibo che può essere abbrustolito e grigliato molto rapidamente all’esterno e restare quasi crudo all’interno.
Il trasferimento lento del calore e il peso della ghisa danno come risultato il mantenimento della temperatura per lungo tempo. Le pentole della linea Slow Cook hanno
diverso formato e sono talmente belle da poter essere portate in tavola.
g www.pentoleagnelli.it

pinti inox
Da più di 80 anni la Pinti Inox si tramanda di generazione in generazione le tecniche
di fabbricazione di articoli destinati alla tavola e alla cucina. Sempre alla ricerca dei
migliori materiali, delle nuove tecnologie e soprattutto delle forme, senza tralasciarne la funzionalità. Così è stato per la linea Professional che comprende pentolame in
acciaio inox 18/10 certificato e garantito per il contatto alimentare. Il fondo in triplo
strato è adatto a tutti i sistemi di cottura, le maniglie offrono una presa immediata
e sicura, la forma cilindrica aiuta lo stivaggio, la finitura esterna, satinata con fascia
lucida, arricchisce i pezzi con un tocco di signorilità.
g www.pinti.it

80 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

ruffoni
La pentola di rame è da considerare la “regina delle pentole” poiché, grazie alla sua
eccezionale conduttività di calore, permette la perfetta regolazione della temperatura e diviene indispensabile per la realizzazione di pietanze a lunga cottura, per cotture delicate, per la “cottura di riduzione” e per i laboratori di pasticceria. Le pentole
in rame Ruffoni sono realizzate con rame puro di prima fusione e con uno spessore
adeguato (da 1,5 millimetri nel caso di padelle, fino a 2 o 3 millimetri nel caso di
pentole e casseruole). La stagnatura è realizzata manualmente su fuoco con l’utilizzo
di un tampone e lo stagno utilizzato deve essere di purezza eccezionale e assolutamente certificato. Possiedono inoltre una buona rivettatura dei manici ottenuta
con rivetti in acciaio inox di forte sezione e testa bombata. Le manicature possono
essere in ottone fuso in terra o in ferro forgiato.
g www.ruffoni.it

sambonet paderno industrie
Ideali per ogni tipo di cottura e per ogni supporto termico, inclusa l’induzione, le
nuove padelle antiaderenti Paderno sono sempre più performanti. Grazie al compatto film ceramico che riveste la superficie interna, le padelle sono più resistenti ai
graffi e, grazie al colore bianco, facilitano il controllo della cottura e della quantità di
condimenti utilizzati. Con pochissimi grassi o liquidi è possibile ottenere preparazioni
croccanti e ben cotte, senza disperdere alcuna sostanza nutritiva degli alimenti. In
alluminio forgiato, dotate di un manico o di due maniglie, le padelle e i tegami sono
proposti nei formati 20/24/28/32/36 centimetri di diametro.
g www.sambonet.it

sul piatto di portata. E nel brodo di cottura si può aggiungere un altro pesce. Inoltre si può usare per affumicare.
Le padelle hanno forma circolare (o ovale per il pesce) con
un solo manico di lunghezza pari al suo diametro. Sono
dotate di sponde basse e tondeggianti e di un fondo largo
e piatto con gli angoli arrotondati. Sono ideali per friggere,
rosolare e saltare. Tutte tecniche di preparazione rapide, per
via degli elevati gradi che si raggiungono. Per questo sono
costruite in materiali ottimi conduttori di calore, che garantiscono una cottura senza sbalzi di temperatura. Se le sponde delle padelle sono alte circa dieci centimetri, il nome
corretto è sauteuse, in francese (non esiste traduzione in
italiano), perfette per saltare tutto, soprattutto la pasta.
Padelle particolari sono le crêpière, quelle per le castagne,
dotate di un fondo bucherellato, e quelle per la paella, con
bordi svasati piuttosto alti e con due maniglie.
Le casseruole possono avere il fondo rotondo (anche ovale,
ma in questo caso la distribuzione del calore non è ottimale) ma la loro altezza è sempre inferiore al diametro. Si può
dire che sono una via di mezzo tra la pentola e la padella.
Le casseruole si dividono in tre tipi: quella fonda, la cui

altezza è maggiore della metà del diametro, ottima per la
preparazione di salmì, spezzatini, stufati, risotti, carni o verdure in umido; la mezzo fonda, di altezza uguale alle metà
del diametro, da usare per glassare carni o verdure; e quella
bassa, di altezza inferiore alla metà del diametro, che è
detta anche “rondò” o tegamino basso, ideale per la cottura
delle scaloppine e dei filetti. Si usano per tutte le preparazioni che richiedono una bassa evaporazione del contenuto
in rapporto alla capacità: sono quindi perfette per i sughi, le
salse e le cotture in umido. Di regola le casseruole sono accompagnate da un coperchio. Le più piccole hanno un solo
manico mentre quelle grandi ne hanno due. Possono essere
progettate per cotture specifiche come i polsonetti (o bastardelle), semisferici, con le pareti alte e il fondo bombato,
ideali per la cottura a bagnomaria.
Diverse sono le aziende che forniscono pentole, casseruole
e padelle ad uso professionale. Ogni azienda ha una sua
“anima” che si riflette nella linea di prodotti che commercializza. Individuarla può aiutare nella scelta di questi utili
strumenti di lavoro.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 81

/ come si fa / a cura della redazione, foto di manuela vanni

IL FONDO
BRUNO
Il fondo di carne è un emblema, anzi l’emblema, della grande cucina classica francese. È la base delle loro salse da
sempre e questo procedimento lo si ritroverà in seguito nei
trattati italiani. “Il cuoco piemontese” perfezionato a Parigi
(1766) ha un intero capitolo dedicato alle salse che, in gran
parte, hanno come base proprio il fondo bruno.
Prepararlo richiede tanta pazienza. Un fondo di carne
degno di questo nome si ottiene solo mediante laboriose
e complesse operazioni preliminari, ma il risultato finale
determina il successo dei piatti. Si ricava dalla rosolatura
e cottura prolungata di ossa, carne e verdure. È una salsa
scura e densa dall’aroma robusto, ideale per bagnare spezzatini, carni brasate e ragù, oppure per essere usata come
base per preparare altre salse.
Ne esistono diverse versioni più o meno lunghe. Il “Pellaprat”, la Bibbia che ogni chef dovrebbe avere sempre a
portata di mano, descrive una procedura che è lunga più di
sei ore. Che però non è nulla in confronto ai cinque giorni
necessari allo chef Matias Perdomo per preparare il suo
fondo bruno di vitello. Dopo tre giorni di cottura e due di
riduzione, il suo fondo è già pronto all’uso, ristretto e denso
al punto giusto. È un aspetto da tenere in considerazione
per chi, come lui, non ha una brigata sterminata in cucina
e, tantomeno, ha la disponibilità di uno chef saucier. Matias lo prepara circa ogni due settimane. Il procedimento è
lento ma, esclusa la prima ora in cui la preparazione deve
essere seguita con estrema attenzione, il resto del tempo
può essere tranquillamente dimenticato sul gas a sobbollire
lievemente.
Prima di vedere passo passo come si prepara, Matias ci
tiene a sottolineare alcuni aspetti da non sottovalutare se
si vuole ottenere un buon prodotto finale. Per prima cosa
bisogna fare attenzione a mantenere sempre le giuste
proporzioni tra gli ingredienti. La componente principale è
composta dalle ossa (stinchi e ginocchia), ricche di collagene: regalano la giusta densità al fondo. Metà del quantitativo delle ossa deve essere poi costituito da ritagli di carne
perché regalano sapore e danno rotondità al tutto. Infine,
circa il 10% del peso generale di ossa e carne deve essere
costituito da verdure: non di più. È poi un grosso errore
tostare tutto assieme perché ossa, carne e verdure hanno
necessariamente tempi di cottura differenti.
INGREDIENTI PER 3 LITRI DI FONDO BRUNO
10 kg di ossa di vitello
5 kg di ritagli di carne (controfiletto, girello, etc.)
800 g di cipolla
300 g di sedano
300 g di carote
50 g di doppio concentrato di pomodoro
Olio extravergine di oliva

82 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

ca… e versarlo nella pentola
assieme alla carta oleata fino
a quando tutte le crosticine
nere molto saporite non si
saranno staccate. Poi togliere la carta oleata e gettarla
via. A tostatura ultimata,
estrarre anche le ossa dal
forno e gettarle nella pentola assieme al loro fondo
deglassato con poca acqua
e alla loro carta oleata. Dopo
aver gettato via anche la
carta oleata dalle ossa ormai
ripulita, coprire a filo di acqua
(in tutto ci vorranno circa 70
litri), portare a bollore e lasciare sobbollire dolcemente
coperto per 48 ore. Al terzo
giorno, spegnere, filtrare il
fondo, che si sarà ridotto a
circa 20 litri, abbatterlo e

Disporre le ossa e i ritagli di
carne su placche differenti
(si possono ricoprire le placche con carta oleata come
in questo caso, oppure, per
un fondo ancora più saporito, lasciare gli ingredienti a
contatto diretto con il metallo), e passarle in forno caldo
a 180°C. Le ossa dovranno
tostare in media 50 minuti, la carne 30 minuti, ma
dipende dalla grandezza dei
ritagli e delle ossa, comunque al massimo 10 minuti
in più. Tagliare a metà le
cipolle e distribuirle su una
piastra rovente. Ricordare
di premerle di tanto in tanto
e di sollevarle leggermente
con una spatola per controllare il grado di tostatura.

Quando la superficie sarà
ben abbrustolita, spegnere
la piastra. Scaldare 1 giro
abbondante di olio in una
pentola da 100 litri. Unire il
sedano e le carote mondate
e tritate grossolanamente e
farle stufare per 5 minuti.
Aggiungere il concentrato
di pomodoro, poi alzare la
fiamma e fare rosolare bene
il tutto per alcuni minuti,
mescolando in continuazione per evitare che le verdure
brucino. Questa rosolatura
contribuisce a togliere l’acidità del pomodoro. Sfumare
con poca acqua…e unire le
cipolle abbrustolite.
Estrarre la carne dal forno e
aggiungerla alle verdure. Deglassare il fondo della plac-

sgrassarlo. Rimettere la salsa
sul fuoco e lasciarla ridurre
ancora a fuoco dolcissimo
per 2 giorni. Ma se si vuole
una salsa meno concentrata,
fermare la cottura dopo 1
giorno.
Alla fine si ottengono circa
3 litri di fondo bruno, denso
e scuro. Che può essere
utilizzato subito, oppure
abbattuto a 3°C, distribuito
in sacchetti per il sottovuoto
e conservato in frigorifero,
dove si mantiene per 1 mese,
o in freezer, dove dura circa
6 mesi.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 83

/ problemi e soluzioni / a cura di allan bay, foto di manuela vanni

LA MIA SALSA
AGRODOLCE
L’altro giorno nella lista delle vivande di un ristorante ambizioso vedo scritto: in agrodolce. Adoro il gusto agrodolce, ordino:
nella preparazione avevano aggiunto 1 cucchiaio di aceto balsamico e 1 di zucchero di canna. Bah, succede. È stato comunque lo spunto per dare la “mia” ricetta di salsa agrodolce, universale (o quasi) nel senso che si abbina con tutto, anche col
pane tostato. È una (ampia) rivisitazione delle salse di frutta di Mastro Martino, mitico cuoco, il più grande che l’Italia (anche
se era svizzero ticinese…) abbia mai avuto, vissuto nella seconda metà del XV secolo, che scrisse uno dei più moderni ricettari dell’epoca: il Libro de arte coquinaria. Da leggere e rileggere, si trovano infiniti spunti.
Per circa 200 g di salsa. Prendere 150 g di frutta essiccata (albicocche, datteri, prugne e uvetta sono canonici, aggiungere
quello che si desidera). Ammollare albicocche e uvetta in acqua tiepida per 20 minuti poi scolarle, strizzarle e tritarle a pezzi
più o meno grandi secondo il proprio gusto; prugne e datteri basta spezzettarli. Tostare in un padellino 20 g di pinoli e spezzettarli o lasciarli interi, a piacere. Versare 40 g di zucchero di canna in un pentolino e farlo caramellare a fuoco bassissimo,
mescolando con una piccola frusta. Aggiungere 2 dl di aceto (io amo quello di cocco, poco intrusivo, ma si può usare quello
che si vuole, meglio se delicato) nonché qualche fettina di zenzero fresco. Proseguire fino ad avere un composto quasi
sciropposo, poi unire la frutta tritata e i pinoli spezzettati. Cuocere ancora per 5’, sempre mescolando: alla fine l’aceto deve
essere quasi del tutto evaporato. Regolare infine di sale e aromatizzare con 1 pizzicone di garam masala, cioè una miscela
di spezie non piccanti, altrimenti con noce moscata grattugiata, cannella in polvere, chiodi di garofano pestati. A piacere, si
può trasformare la salsa agrodolce in una sorta di mostarda, aggiungendo alla fine poche gocce di estratto di senape.

84 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

LA SALSA
PEARà
La pearà, che in dialetto veneto significa “pepata”, è una salsa ideale per accompagnare la carne di manzo bollita o arrostita. È una salsa semplice e “intelligente”, come devono essere le salse per definizione, perché permette di nobilitare il midollo di bue che di solito, ossibuchi a parte, non viene molto impiegato nella cucina moderna. Ça va sans dire che il midollo
deve appartenere a un ottimo manzo - diciamo lo stesso animale usato in cottura.
Ecco come preparare circa 500 g di salsa. Dal macellaio che rifornisce la carne farsi tagliare il femore per il senso della lunghezza. Con un cucchiaio estrarre il midollo, mentre con le ossa ormai vuote e le verdure canoniche (cipolle, carote, sedano
verde, mazzetto guarnito) preparare un brodo. Sciogliere in una casseruola (meglio se antiaderente) 50 g di burro e 100
g di midollo di bue tritato. Amalgamarvi 300 g di pangrattato leggermente tostato, mescolando con cura. Versare a filo
abbastanza brodo bollente, fino a far raggiungere al composto la consistenza di una “pappetta per galline”. Proseguire la
cottura (coperto) a fuoco molto basso per circa 1 ora, aggiungendo altro brodo, qualora dovesse asciugare troppo. Regolare di sale e di abbondante pepe.
A piacere, è possibile dare alla salsa un accento ancora più piccante ma fresco, sostituendo il pepe con cren appena grattugiato e diluito con poco aceto di mele. Si serve calda.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 85

/ problemi e soluzioni / a cura di allan bay, foto di manuela vanni

LA CIPOLLE
SECCHE
Milly Callegari, un’amica farmacista che sta scrivendo un libro sulle essenze e sul come prepararsele facilmente in cucina, mi
ha raccontato delle virtù delle cipolle secche, polverizzate o ridotte in scaglie, e di come siano ingredienti miracolosi. Va da
sé, il giorno dopo le ho fatte. E ho scoperto che sono proprio buone. Ne basta un pizzico su un risotto o sopra una carne
grigliata o un pesce al vapore per profumare intensamente il piatto, aggiungendo un po’ di brio. Il sapore dolce di cipolle
arrostite stuzzica l’appetito.
Prepararle è molto semplice. Per 200 g circa di polvere di cipolle. Disporre 5 o 6 cipolle dorate su una teglia coperta con sale
grosso. Passarle in forno a 250°C per 1 ora (finché non sono ben cotte), levarle dal forno, lasciarle intiepidire e sbucciarle.
Poi spezzettarle, a seconda dell’uso che se ne farà. Eliminare dalla teglia il sale grosso (che profuma di cipolla e basta, quindi
può essere ancora utilizzato) e farle disidratare in forno a 60°C per tutta una notte. Alla fine pestare le cipolle oramai secche
in un mortaio, ottenendo una polvere, o spezzettarle meno finemente, se si preferisce.
Si conservano in un vasetto di vetro a chiusura ermetica, al riparo dalla luce diretta per circa 1 settimana. Volendo si conservano anche più a lungo, ma l’aroma tende a svanire.

86 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

UN MODO PER
INTENERIRE LE SEPPIE
Questa tecnica per intenerire le grosse seppie mi è stata ispirata da una ricetta del caro Marcello Trentini, chef neo stellato,
carismatico e creativo patron del Magorabin di Torino.
Una fase della preparazione delle sue ottime tagliatelle di seppia scottate col brodo, secondo la tecnica giapponese yubiki
(vedi Grandecucina 3 del 2009), prevede il congelamento in abbattitore dei suddetti celafopodi. Lo scopo è di rendere
tenera la carne sempre troppo gommosa delle seppie di grosse dimensioni. Come e perché accada tutto questo è molto
semplice (ed è anche il motivo per cui si consiglia di congelare sempre le seppie prima di cuocerle): la bassissima temperatura congela l’acqua contenuta nelle cellule, che aumenta di volume, rompendo le membrane cellulari. Decongelando le
seppie, l’acqua si scioglie lasciando un vuoto all’interno di ogni cellula rotta: al microscopio si riuscirebbero a vedere tanti
buchini. Il risultato è un prodotto cedevole e morbido, pronto per essere utilizzato in una qualsiasi preparazione, cotto per
pochi istanti, ma anche gustato al naturale.
Ecco come procedere. Pulire e mondare le seppie, metterle in uno stampo rettangolare, pressarle con un peso per evitare
che si arriccino e congelarle in abbattitore. Quando sono ben congelate, recuperare la “mattonella” di seppie e riportarle in
temperatura. Tagliarle a listarelle e usarle come si preferisce.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 87

/ mani in pasta

CANNELLONE
SFOGLIATO
CON CICORIE E CECI,
SALSA AL SESAMO
E VERDURE
INVERNALI STUFATE

Ricette di Roberto Carcangiu
Foto di Vincenzo
e Matteo Lonati

Si ringrazia per il supporto tecnico Cast Alimenti

92 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Per la pasta all’uovo sfogliata (per kg
50, ma ne occorrono g 50): 33,333 kg
di farina “00” Pasta d’Oro® Molino Pasini Linea Pasta Fresca “Farina del Mio
Sacco”; 3,333 kg di olio extravergine
d’oliva; 3,75 kg di tuorlo d’uovo; 9,167
kg di acqua calda.
Per il ripieno: 80 g di ceci cotti; 400 g
di cicoria; 150 g di ricotta; 30 g di pecorino sardo; 15 g di olio extravergine
d’oliva al basilico; 3 g di sale e pepe; 5
g di scalogno rosso.
Per la salsa al sesamo: 60 g di sesamo
tostato; 400 g di brodo vegetale; tè
Early Grey; 40 g di patate; sale q.b.
Per la finitura dei cannelloni: 20 g di
tuorlo d’uovo; 20 g di burro.
Per le verdure: 48 g di zucca gialla;
48 g di sedano rapa; 48 g di carota;
48 g di porri; 3 g di sale e pepe; 8 g di
aglio; 30 g di olio extravergine d’oliva;
5 g di basilico.
PROCEDIMENTO
Per la pasta all’uovo sfogliata
In una planetaria mescolare, nell’ordine, farina, olio extravergine d’oliva,
tuorlo d’uovo e acqua a 45°C. Lavorare per 6-7 minuti e lasciar riposare
sottovuoto per un’ora. Tirare la sfoglia
a 0,9 mm di spessore, 8 cm di lunghezza e 6,5 cm di larghezza.
Per il ripieno, cuocere in acqua i ceci
ammollati la sera precedente per circa
2 ore e mezza. Sbianchire la cicoria in
acqua bollente con 40 g di sale per
litro di acqua. Raffreddare, strizzare
e tritare a coltello grossolanamente.
Stufare lo scalogno in olio, aggiungere i ceci e la cicoria. Bagnare con il
brodo vegetale e cuocere per circa 15
minuti. Lasciare raffreddare. Mescolare
il pecorino grattugiato con le erbe e
la ricotta. Farcire i rettangoli di pasta
con circa 15 g di ripieno cadauno,
arrotolare e pennellare con il tuorlo
d’uovo.
Per la salsa al sesamo, stufare in un
filo d’olio le patate e il sesamo tostato.
Bagnare con il brodo. Portare a ebollizione. Aggiungere quindi la bustina
di tè e lasciare in infusione per circa
2 minuti. Levare e regolare di sale. A
cottura avvenuta, passare la salsa di
sesamo al frullatore.

Per le verdure, lavare e pelare carote,
porri, sedano rapa e zucca. Tagliare
tutte le verdure a julienne della lunghezza di 11 cm. Sbianchire in acqua
bollente salata. Saltare in padella con
olio caldo, basilico a julienne e aglio in
camicia.
Per la finitura e presentazione, sistemare i cannelloni in una teglia e gratinarli in forno. Porre in fondo al piatto
la salsa, a seguire, una forchettata di
verdure e, sopra, i cannelloni.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 93

/ creatività / gianni tota

E

ntrambi affondano le radici nella generosa terra di
Puglia. Comunicando al mondo con vero carisma.
L’uno grazie al suo carattere eclettico e volitivo.
L’altra grazie al suo autentico Spirito Contadino. Sono lo
chef brindisino Gianni Tota, coordinatore tecnico di settore e responsabile dei laboratori del Centro di Formazione
Professionale Galdus di Milano, protagonista di tanti cooking
show in giro per il Paese, nonché consulente per la ristorazione di alberghi top; e l’azienda della famiglia De Palma,
con sede nel Foggiano, a Borgo Tressanti. La cui specialità è
quella di produrre verdure surgelate di qualità e dalla solida
identità. Che hanno così incontrato la creatività di cuoco
Gianni, lasciandosi sublimare in ricette capaci di esprimere
al massimo naturalità e genuinità. “Quando sento al telefono Antonio Gervasio gli chiedo sempre quali profumi
si sentano dalle sue parti”, confessa Tota, che si è trovato
subito in sintonia con il portavoce della pugliese maison.
Nei cui prodotti si riscoprono tutti i valori, i profumi e i
sapori della memoria e della tradizione. E il merito va a orti
coltivati nel severo rispetto per i ritmi terreni e la stagionalità e a una cura meticolosa che va dalla semina alla raccolta,
dalla mondatura alla lavorazione finale. Per ortaggi gustosi
e salutari, teneri e semplici da utilizzare. Che si svelano in
un taglio elegante e preciso, in modo tale da velocizzare i

94 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

essenza
countrY
chic
Lo chef Gianni Tota rielabora
le verdure veraci di Spirito Contadino.
Per una proposta mediterranea
che rende onore a tradizione,
trasparenza e praticità

a cura della redazione; foto di paolo picciotto

tempi di preparazione e di presentazione nel piatto. Vedi
i funghi cardoncelli, belli e raffinati nei loro toni bruniti; gli
spicchi di carciofini, privati sia del gambo sia della barba;
e le cime di rapa, di cui sono valorizzate solo le “punte”
(senza le foglie). E che dire dei soffici fiori di zucca? Che
sono raccolti al mattino presto, ancora aperti. Per facilitarne l’eventuale farcitura. Mentre la cicoriella selvatica della
“Produzione Riservata” si esprime in tutta la sua delicata
amaroticità e la borragine si veste di una crosta di farina di
grano (dei campi di proprietà), virtuosa di fragrante leggerezza. Il tutto surgelato col metodo IQF (Individually Quick
Frozen), che consente di consumare la giusta quantità di
prodotto (per pochi o molti commensali), mantenendone
inalterate peculiarità organolettiche e nutrizionali.“Nei piatti
quello che manca a volte è la musica, ma questi ortaggi
danno vita a una vera sinfonia, sposando a meraviglia altri
ingredienti”, commenta Gianni Tota, che al Galdus lavora al
fianco del presidente (e direttore d’orchestra) Diego Montrone. A conferma della versatilità delle verdure di Spirito
Contadino. Pronte a rispondere ai diktat di filiera corta,
integrità, sostenibilità e affidabilità della fornitura. Perché il
sano assaporare possa durare tutto l’anno.
g www.spiritocontadino.com
g www.galdus.it

/ creatività / gianni tota

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Ricotta fresca vaccina g 300
Uova fresche 2
Formaggio grattugiato g 125
Cicoriella Selvatica di Campo Spirito
Contadino
Farina “00” 1 cucchiaio
Pangrattato 1 cucchiaio
Olio extravergine di oliva
Aglio

Sale
Burro g 50
Mandorle pelate g 50

MALFATTI DI VOGHERA
CON CICORIELLA
SELVATICA
PROCEDIMENTO
Mescolare la ricotta con le 2 uova, il formaggio grattugiato, un cucchiaio di farina, un cucchiaio di pangrattato e la cicoriella
selvatica saltata e tritata al coltello. Impastare, formare delle quenelle e cuocerle in un tegame basso e largo.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Saltare in padella la cicoriella con olio extravergine di oliva, poco aglio e un pizzico di sale. Servire i malfatti conditi con burro
fuso e mandorle tostate.
CICORIELLA SELVATICA DI CAMPO SPIRITO CONTADINO
Fa parte della “Produzione Riservata” di Spirito Contadino e viene esaltata in una ricetta capace di far incontrare Lombardia e Puglia in una rilettura campagnola dei tipici malfatti di Voghera. Un piatto rustico e raffinato al tempo stesso, in cui le
nuance amarotiche della cicoriella sposano la delicata dolcezza della ricotta vaccina e il profumo delle mandorle tostate.

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gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 97

/ creatività / gianni tota

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Farina “00” g 300
Uova fresche 3
Sale 1 pizzico
Nero di seppia 1 bustina
Olio extravergine di oliva
Aglio
Sale
Pepe
Triglie fresche 8

Spicchi di Carciofini
Spirito Contadino g 200
Spicchio d’aglio 1
Pomodorini di Pachino 10

RAVIOLO APERTO
CON TRIGLIE
E CARCIOFI
PROCEDIMENTO
Per il raviolo aperto. Preparare la pasta all’uovo classica e i tagliolini al nero di seppia. Da stendere e poi tirare sulla pasta
“gialla”, in modo tale da ottenere delle righe decorative. Ricavare dei quadrati di pasta, sbollentarli e porli in uno stampo tondo di silicone. Per il ripieno. Far saltare in padella gli spicchi di carciofini con aglio, olio extravergine di oliva e un pizzico di
sale e pepe. Unirvi qualche pomodorino di Pachino e le triglie spinate e sfilettate (tenendone da parte 2). Riempire il raviolo
aperto e passare in forno a 170°C per 5-6 minuti.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Comporre i piatti, aggiungendo i filetti di triglia precedentemente tenuti da parte e scottati in padella 2 minuti per parte.
SPICCHI DI CARCIOFINI SPIRITO CONTADINO
Una ricetta all’insegna della tenerezza, della terra e del mare. Le triglie infatti incontrano il sapore dolce e delicato di spicchi
di carciofini privi sia del gambo che della barba interna. Per un utilizzo pratico e veloce.

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/ creatività / gianni tota

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Quaglie 8
Pancetta tesa 16 fettine
Gambo di sedano 1
Carota 1
Cipolla 1
Vino bianco 1 bicchiere
Farina di polenta g 250
Funghi Cardoncelli
Spirito Contadino g 400

Olio extravergine di oliva
Aglio
Sale
Pepe

COSTOLETTA
DI QUAGLIA
CON piramide di polenta e funghi cardoncelli

PROCEDIMENTO
Disossare le quaglie. Preparare il fondo di cottura con sedano, carote e cipolle. Sfumare col vino bianco, coprire con il brodo,
cuocere per circa 2 ore, filtrare e ridurre. Intanto, preparare la polenta, riporla in uno stampo a piramide in silicone e lasciare raffreddare. Cuocere le quaglie a bassa temperatura sottovuoto a 75°C a vapore, avvolgerle nella pancetta e rosolarle in
padella 3-4 minuti per parte. Far saltare i funghi con aglio, olio extravergine di oliva e un pizzico di sale e pepe.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Comporre il piatto con la quaglia scaloppata e la polenta scaldata a 180°C per 5 minuti. Nappare con il fondo e accompagnare con i cardoncelli.
FUNGHI CARDONCELLI SPIRITO CONTADINO
Tagliati perfettamente a metà e assolutamente privi di acqua, i cardoncelli corredano amabilmente la quaglia. Per un piatto
di terra dalle nuance brunite. Non dimenticando che i funghi sono ideali pure in abbinata col pesce.

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gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 101

/ creatività / gianni tota

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Coscette posteriori di coniglio 4
Pancetta tesa 8 fettine
Gambo di sedano 1
Carota 1
Cipolla 1
Vino bianco 1 bicchiere
Spezie miste: timo, maggiorana, salvia
e rosmarino
Senape in grani 1 barattolino

Rotolo di pasta fillo 1
Panna fresca da cucina 1 bicchiere
Foglie di Borragine in Crosta di Farina
di Grano Spirito Contadino 12

CONIGLIO
IN PORCHETTA
CON SENAPe rustica e borragine croccante

PROCEDIMENTO
Disossare le cosce di coniglio. Condire l’interno con le erbe tritate (timo, maggiorana, salvia e rosmarino), rivestire con la
pancetta, avvolgere formando un rotolo e cuocere sottovuoto a 75°C al cuore. Preparare un fondo di cottura con sedano,
carote e cipolle. Rosolare il coniglio, sfumare con il vino bianco e togliere dalla padella, dove vanno aggiunti la senape in
grani, una parte del fondo di cottura e un po’ di panna, fino ad ottenere una salsa cremosa.
Per il cestino di pasta fillo. Mettere in stampi di silicone (o monoporzione di alluminio) 4 strati di pasta fillo imburrati e cuocere 5 minuti a 5°C.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Friggere le foglie di borragine in crosta di farina di grano, scaloppare il coniglio e comporre il piatto. Nappare con la salsa e
servire la borragine nel cestino di pasta fillo.
BORRAGINE IN CROSTA DI FARINA DI GRANO SPIRITO CONTADINO
La morbidezza della carne sposa la fragranza della borragine, avvolta da una pastella messa a punto con la farina di grano
dei campi dell’azienda. Il lato croccante del piatto viene esaltato dal cestino di pasta fillo che affianca il coniglio.

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gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 103

/ creatività / viviana varese

ritratti mediterranei
La chef stellata Viviana Varese si diletta fra Divine Creazioni. Per raccontare
l’italianità in tre primi piatti dalle note tipiche e dalle nuance raffinate
a cura della redazione; foto di paolo picciotto

S

alernitana di nascita e milanese d’adozione, ha ancora
il sole di Maiori negli occhi. È la chef Viviana Varese,
astro Michelin di Alice, ristorante che sguazza felice non lontano da Porta Romana. Un’isola mediterranea
nel bel mezzo della città, al cui successo concorre pure la
presenza di una maître sommelier come Sandra Ciciriello:
origini pugliesi e una lunga esperienza maturata fra i banchi
e i banconi del meneghino Mercato Ittico. “Siamo partite dal
nulla, ma con forza e tenacia abbiamo costruito il mondo di
Alice”, spiega Sandra, capace di star tanto dietro le quinte
quanto sulla ribalta del teatro stellato animato da Viviana.
Vivace e versatile interprete di pietanze radiose e gustose,
in grado di onorare i frutti del Mare Nostrum. Non dimenticando l’orto e la campagna e pescando sempre il meglio
targato Made in Italy. Come accade nei piatti narrati nel

104 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

volume “Alice e le meraviglie del pesce” by Giunti Editore,
summa di quaranta ricette dall’anima raggiante, ma anche
di aneddoti, curiosità, suggerimenti e consigli. Su come
selezionare, acquistare, conservare e pulire i figli dell’onda
e della sabbia. In queste pagine invece, madame Varese,
presenta tre portate che fanno di tipicità virtù e di eleganza
filosofia. Partendo da piccoli capolavori di pasta che vanno
sotto il nume tutelare di Divine Creazioni, linea esclusiva
firmata Surgital, azienda ravennate che sublima l’arte delle
“azdore”, ovvero quella di tirar la sfoglia, in un prodotto
d’eccellenza. Forte del condensare sapienza artigianale, ingegno imprenditoriale e innovazione tecnologica in appetitosi pezzi unici. Visibilmente diversi l’uno dall’altro. Complici
macchine per la lavorazione progettate e realizzate in esclusiva per la maison; metodo di surgelazione IQF (Individually

Quick Frozen), che consente di prelevare sempre la quantità necessaria; nonché confezioni (richiudibili dopo l’apertura) che assicurano una perfetta integrità dei prodotti e
vantano un peso contenuto (due chilogrammi al massimo).
Per una migliore praticità di utilizzo.
Non da ultimi gli ingredienti, naturalmente di qualità. A partire dalle otto uova per ogni chilo di semola di grano duro,
che regalano un colore dorato alla pasta, sino ai ripieni, che
rendono onore alla tradizione tricolore.
Come accade negli Scrigni con burrata di Puglia, quadrata e morbida novità della casa, insieme ai Balanzoni con
ricotta e prezzemolo e agli Scrigni ai funghi porcini. E come
succede pure nei Raviolotti al pecorino di Pienza e pinoli,
esaltati dalla delicatezza del carciofo (crudo, in crema e alla
griglia), dall’aromaticità della menta fresca e dall’amaroticità della liquirizia. Un parterre appetitoso quello delle Divine
Creazioni, a cui si aggiungono i Castelmagni, i Fossatelli del
Rubicone (con formaggio di fossa di Sogliano Dop), i Quadrelli con chianina e cardoncelli, i Bauletti ripieni all’astice
e i Panciotti con cappesante e gamberi dei mari del Nord.
Che Viviana impreziosisce di agrumate nuance, grazie alla
salsa e alle zeste d’arancia. Per un tocco da maestro. Anzi,
da maestra.
g www.surgital.com
g www.aliceristorante.it

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 105

/ creatività / viviana varese

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Scrigni con burrata di Puglia Divine
Creazioni 20
Burrata fresca g 50
Cime di rapa pulite kg 1
Spicchi d’aglio 2
Ricci di mare freschi g 500
Rapa bianca 1
Peperoncino 1/2
Zeste di limone candite q.b.

Olio extravergine d’oliva q.b.

PUGLIA: SCRIGNI CON
BURRATA DI PUGLIA, CIME
DI RAPA E RICCI DI MARE
PROCEDIMENTO
Pulire i ricci e conservare il corallo in una ciotola. Pulire le cime di rapa e separare le foglie grandi. Tagliare la rapa con una
mandolina, farla bollire in acqua salata per 1 minuto e lasciarla raffreddare in acqua e ghiaccio. Far bollire le foglie di cima per
2 minuti e metterle a raffreddare in acqua e ghiaccio. Far bollire le cime di rapa per 1 minuto e lasciarle raffreddare. In una
padella, preparare un soffritto con uno spicchio d’aglio in camicia e il peperoncino. Soffriggere le foglie di cima per 3 minuti,
frullare il tutto e, se necessario, aggiungere acqua, aggiustando di sale. Tenere in caldo. Preparare un altro soffritto con uno
spicchio d’aglio e far saltare velocemente le cime di rapa, aggiungendo un mestolo di acqua. Cuocere la pasta molto al dente e versarla nella padella con le verdure, per proseguire la cottura.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Distribuire nel piatto la salsa di foglie di cima, i ricci, la rapa e poi la pasta con le cime di rapa. Decorare con zeste di limone
candito.
SCRIGNI CON BURRATA DI PUGLIA DIVINE CREAZIONI
Hanno una forma quadrata e un ripieno che contempla burrata pugliese, ricotta e olio extravergine d’oliva. Una tipicità intrinseca esaltata da una cornice di ingredienti autenticamente regionali quali le cime di rapa e i ricci di mare. Per un primo piatto
radicato nella terra ma dalla forte spinta ittica.

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/ creatività / viviana varese

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Panciotti con cappesante e gamberi
dei mari del Nord Divine Creazioni 16
Gamberi rossi di Sicilia 8
Cappesante 8
Arance 3
Pomodori ramati 5
Olio extravergine d’oliva q.b.
Spicchi d’aglio 2
Finocchietto fresco q.b.

Mirepoix di verdure g 20
Zucchero a velo g 5

SICILY: PANCIOTTI CON
CAPPESANTE E GAMBERI
DEI MARI DEL NORD
PROCEDIMENTO
Per la salsa d’arancia. Pulire a vivo le arance. Preparare un soffritto col mirepoix di verdure, versarvi le arance e lo zucchero,
cuocere per 5 minuti e frullare il tutto con un minipimer, aggiustando di sale. Per il sugo di pomodoro. Incidere i pomodori,
sbollentarli per alcuni secondi in acqua salata e lasciarli raffreddare in acqua e ghiaccio. Privarli della pelle e dei semi interni
e tagliarli a cubetti. Preparare un soffritto con l’aglio in camicia, versarvi i pomodori, cuocere per 4 minuti, aggiustare di sale
e aggiungere il finocchietto tritato. Tenere in caldo. Privare i gamberi del carapace e del filo intestinale. Cuocere la pasta al
dente e, nel frattempo, scottare le cappesante. Passare la pasta nel sugo di pomodoro per 2 minuti.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Adagiare nel piatto i gamberi crudi conditi con olio, sale di Maldon e qualche goccia di salsa d’arancia. Aggiungere la pasta,
il sugo di pomodoro e le cappesante scottate. Decorare con finocchietto, arancia fresca e zeste candite.
PANCIOTTI CON CAPPESANTE E GAMBERI DEI MARI DEL NORD DIVINE CREAZIONI
La loro foggia panciuta cela una farcia preparata con cappesante brasate (di cui viene utilizzato pure il corallo), provenienti dalla zona sud-est dell’Oceano Pacifico, e gamberi dei mari del Nord. Un ripieno raffinato, valorizzato da una ricetta dai
tratti marcatamente siciliani, vista l’aggiunta dei gamberi rossi isolani, del finocchietto e dell’arancia in diverse e aromatiche
texture.

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gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 109

/ creatività / viviana varese

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Carciofi con le spine 10
Raviolotti al pecorino di Pienza e pinoli Divine Creazioni 20
Olio extravergine d’oliva q.b.
Menta fresca
Polvere di liquirizia
Spicchi d’aglio 2

IL CARCIOFO E IL
PECORINO: RAVIOLOTTI AL PECORINO
DI PIENZA E PINOLI CON CARCIOFO E LIQUIRIZIA

PROCEDIMENTO
Pulire i carciofi, privandoli delle spine, delle foglie dure e della barba. Cuocere 8 carciofi in acqua bollente leggermente salata
per 10 minuti. Preparare un soffritto con olio e aglio in camicia, eliminando poi l’aglio. Aggiungere 6 carciofi tagliati in 4 e
farli soffriggere per 4 minuti, regolando di acqua. Passare al setaccio, frullare e aggiustare di sale. Ottenendo così una crema,
da mantenere in caldo. Posizionare su una piastra 2 carciofi bolliti e grigliarli. Preparare un’insalatina con 2 carciofi crudi e
condirla con olio extravergine d’oliva e sale. Cuocere la pasta e condirla con l’olio.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Disporre nel piatto la crema di carciofi, la pasta e i carciofi, sia grigliati sia crudi in insalatina. Decorare con menta fresca e
polvere di liquirizia.
RAVIOLOTTI AL PECORINO DI PIENZA E PINOLI DIVINE CREAZIONI
Esibiscono una forma a mezzaluna e un bordo elegantemente zigrinato. Nascondono, invece, un morbido ripieno al pecorino di Pienza. Pregiato gioiello caseario qui sublimato in una pietanza che passeggia nell’orto, raccogliendo menta fresca e
carciofi. Proposti in differenti consistenze e temperature e il cui tratto amarotico viene esaltato dalla presenza della polvere
di liquirizia.

110 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 111

/ creatività / ROBERTO OKABE

nel giardino di okabe
Amore per il bello e ricerca dell’eccellenza gastronomica. All’insegna della
cultura giapponese e strizzando l’occhio alla movida milanese. Con il Finger’s
Garden lo chef Roberto Okabe completa la sua offerta in città e consolida il
successo e la notorietà di una precisa filosofia di cucina
a cura della redazione; foto di paolo picciotto

L

’incontro tra le persone è dove tutto ha inizio: recita così l’iscrizione sulla pietra al centro del locale
che Roberto Okabe inaugurò a Milano, otto anni fa,
insieme al calciatore Clarence Seedorf. Un antico proverbio giapponese che vuole essere oggi testimonianza del
successo di quell’incontro, della comunione di intenti, della
felice condivisione di un’idea. Affermatasi, consolidatasi,
ampliatasi fino a diventare un brand capace di fondere alta
cucina, arte, design e le delicate atmosfere della cultura
nipponica.
“Hardware giapponese, software brasiliano”. La definizione
è sua. Perché Roberto ama descriversi così. Del resto, nasce
a San Paolo da genitori giapponesi, a loro volta figli di immi-

114 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

grati; muove i primi passi in cucina a Tokyo - ma in ristoranti
dapprima brasiliani poi giapponesi - quindi fa ritorno in Brasile e completa la sua formazione squisitamente nipponica;
infine approda in Italia. È il 1997 e l’essenza professionale di
Roberto è ormai un felice meltin pot di esperienze, conoscenze, situazioni che lo portano a mettere qui le sue radici.
Dapprima in Franciacorta, infine a Milano.
Sono gli anni del Finger’s di via San Gerolamo Emiliani,
locale dalla cui notorietà e successo ha preso le mosse
di recente quello che Roberto considera la sua naturale
evoluzione: il Garden. “È il perfetto completamento del
lavoro che abbiamo fatto fino ad oggi”, spiega, “la spontanea crescita di un’idea di cucina che non poteva essere

la stessa senza il Giardino”. Un suggestivo garden zen di
1.400 metri quadrati, nel cuore di Milano, che un tempo
ospitava la scuola per giapponesi in Italia e poi un centro di
meditazione buddista, a cui si deve il grande acero giapponese, pianta sacra per i buddisti. “Ci sono voluti due anni di
restauri, unitamente alla scelta di mantenere l’architettura
degli edifici, che rimanda alla razionalità volumetrica degli
anni ’60 ma che è stata stemperata con le decorazioni a
spray, capaci di rendere gli ambienti volutamente illusori ed
evanescenti”. Le vedute prospettiche di paesaggi giapponesi rievocano infatti terre lontane, giochi di ombre e luci che
dal grande tatami al centro del locale finiscono per allontanare concretamente l’ospite dalla frenesia della città, fino ad
alleggerirne lo spirito.
Ma la cucina? È lo specchio primo di tutti gli elementi fino
a qui descritti. È contaminazione, condivisione. Evoluzione
di tecniche ed esperienze apprese in giro per il mondo e al
contempo felicissima espressione della più autentica anima
giapponese. Okabe è un ponte fra tre culture, tre continenti: suggestioni gastronomiche brasiliane, rigore filosofico
giapponese, creatività mediterranea. Nei suoi piatti, sushi e
nigiri incontrano la burrata e il foie gras, l’olio extravergine
e il Kobe, la cottura a bassa temperatura - che predilige ad
esempio per le uova o per l’astice - e la piastra d’ispirazione francese o il forno a vapore. Accolgono nuove tecniche,
come nuovi ingredienti (anche se - confessano - il ripieno
del raviolo, così come il metodo di cottura del riso per il
sushi, sono punti fermi). Il rispetto per la materia prima del
resto è palpabile: una cella solo per la lavorazione del pesce,
una stanza dedicata alla pulizia, il totale abbattimento del
crudo come richiede la normativa (del resto parliamo di una
tonnellata di tonno al mese). Ci tiene a sottolinearlo Roberto, a cui chiediamo infine, come sta cambiando la sua cucina. “Mi muovo con misura, diciamo così. Il mio menù evolve
al 30 per cento perché ho scelto di farlo con calma, mixando vecchio e nuovo insieme, secondo il mio stato d’animo e
le risposte del pubblico. Avrei novità pronte che potrebbero
bastare per i prossimi tre anni, ma posso introdurle solo
gradualmente”. Anche questa è una delle chiavi del successo del Finger’s Garden, un “giardino delle delizie” in cui
amore per il bello e cucina d’eccellenza trovano il perfetto
completamento senza lasciarsi sopraffare dagli eccessi,
chiudendo il cerchio di una proposta di accoglienza capace
di esprimersi con misura e semplicità.
Si ringrazia CHS Group per le eleganti porcellane e i raffinati
monouso forniti per il servizio
g www.chsgroup.it

Finger’s Garden
Via Giovanni Keplero, 2
20124 Milano
Tel. 02 606544
Chef: Roberto Okabe

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 115

/ creatività / roberto okabe

MILLEFOGLIE DI TONNO E BURRATA
INGREDIENTI
Fette di tonno per sashimi 4
Fetta di pomodoro cuore di bue 1
Foglio di pasta brick 1

Cuore di burrata g 20
Sale di Maldon
Olio extravergine d’oliva
Soia ml 100

Zucchero g 100
Sakè ml 100

PROCEDIMENTO
Per la salsa teriyaki. Fare ridurre a fuoco lento la soia con il sakè e lo zucchero. Schiumarlo ogni 5 minuti. Con un tagliapasta
ricavare 4 dischi dalla pasta brick e cuocerli al forno a 160°C per 15 minuti. Montare la millefoglie, iniziando con 1 disco di pasta, 2 fette di tonno e la salsa teriyaki. Sovrapporre un altro disco di pasta, il pomodoro, un altro disco di pasta, altre 2 fette
di tonno con la salsa teriyaki e l’ultimo disco di pasta.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Con un coltello molto affilato tagliare la millefoglie in 4 parti. Decorare ogni parte con un cucchiaino di burrata, il sale e l’olio
extravergine. Servire subito.

MISTO DI ANTIPASTI
PER 2 PERSONE

TAYO E LUNA
INGREDIENTI
Capesante 3 (tagliate a metà orizzontalmente)
Pasta kataifi fritta g 50
Peperone rosso e giallo in brunoise q.b.
Per la salsa di soia:

Cipolla bianca g 70
Aceto di vino g 20
Salsa di soia g 100
Olio di arachidi g 300
Per la besciamella di formaggio:
Burro g 70

Farina “00” g 70
Latte ml 500
Grana grattugiato g 50
Sale g 2
Pepe nero e noce moscata q.b.

PROCEDIMENTO
Per la salsa di soia. Unire tutti gli ingredienti (tranne l’olio) e frullarli nel mixer. Aggiungere l’olio a poco a poco per emulsionare. Fare riposare la salsa nel frigorifero. Per la besciamella di formaggio. Sciogliere il burro, aggiungere la farina e cuocere
per 5 minuti. Versare il latte mescolando bene e portare a ebollizione. Bollire per 10 minuti a fuoco molto lento; aggiungere il sale, il pepe, la noce moscata e il formaggio. Mescolare bene e mettere la besciamella dentro una sac à poche. In una
pentola, con olio ben caldo, friggere la pasta kataifi finché non sia ben dorata. Lasciarla raffreddare e, aiutandosi con le mani,
sminuzzarla in piccole striscioline. In un tegame, con un filo d’olio, scottare le capesante tagliate a metà orizzontalmente,
sino a dorarle. A fine cottura, adagiarle in un piatto.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Con l’aiuto della sac à poche, guarnire il piatto con la besciamella, aggiungere una manciata di pasta kataifi fritta e decorare
con il peperone e l’erba cipollina.

116 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

TAMAGOYAKI
INGREDIENTI
Uova fresche 5
Brodo dashi g 100

Zucchero g 50
Sale g 5
Mirin g 10

Salsa di soia g 10
Unaghi (anguilla giapponese
affumicata) g 50

PROCEDIMENTO
Scaldare a fuoco basso una padella di ghisa quadrata tipica giapponese. Aiutarsi con un po’ di carta assorbente per distribuire uniformemente sul fondo l’olio di semi. Con un mestolo versare il composto nella padella, ricreando la forma quadrata.
Muovere la padella in modo da ripiegare su se stessa l’omelette, realizzando una prima base, e spostarla da un lato. Versare
nuovamente un mestolo di composto e creare un letto sotto la base precedentemente cotta.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Posizionare l’unaghi al centro dell’omelette e ripetere lo stesso movimento precedente, creando una sorta di “millefoglie” di
omelette di 3 centimetri di altezza e 6 di larghezza. Servire a temperatura ambiente.
NELL’ANGOLO, SU FOGLIA DI RISO
Rapa bianca grattugiata
Zenzero grattugiato

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 117

/ creatività / roberto okabe

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Funghi giapponesi shiitake g 200
Funghi pleurotus g 200
Funghi enoki g 100
Funghi chiodini g 100
Germogli di soia g 50
Spinacini g 20
Pakchoi g 80
Uova di quaglia 4 (cotte a 63°C per 25
minuti)

Per la salsa wok:
Brodo di pollo ml 200
Salsa di soia ml 100
Sakè ml 200
Salsa di ostriche ml 460
Fecola di patate g 85 (disciolta in
acqua, creando un composto non
troppo liquido)

WOK
DI
FUNGHI
PROCEDIMENTO
In un wok scaldare l’olio di oliva, versare i funghi shiitake, pleurotus e chiodini, e spadellarli energicamente con un po’ di sale.
In un secondo tempo, aggiungere enoki, pakchoi e germogli soia. Sfumarli con 20 grammi di sakè e per ultimo aggiungere
gli spinacini, la salsa wok, 8 grammi di burro e un goccio d’acqua, finché la salsa non si addensi.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Disporre i funghi in un nido di kataifi precedentemente fritto in un tubo di acciaio, per creare la forma cilindrica. Per ultimo,
fare un leggero foro tra i funghi e adagiarvi l’uovo di quaglia ancora tiepido. Decorare con qualche cristallo di sale di Maldon.

118 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 119

/ creatività / roberto okabe

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
Capesante 4 tagliate in 4
Dentice cubettato g 40
Branzino cubettato g 40
Gamberi rossi 4 cubetti
Pomodorini ciliegini 6 (divisi in 4)
Mezzo cetriolo a lamelle

Cipollotti grattugiati e lavati sotto
l’acqua per 20 minuti
Succo di lime g 10
Succo d’arancia g 20
Tabasco g 8
Salsa piccante tailandese 5 g
Erba cipollina tagliata fine g 4

Olio extravergine d’oliva g 25
Sale q.b.
Per la finitura:
Lamelle di cipolla rossa
Fili di erba cipollina

CEVICHE
MIX
PROCEDIMENTO
Marinare il pesce bianco con succo di lime yuzu, sale, pepe, olio e un tocco di salsa piccante. Tagliare a cubetti e mescolare
per bene tutti gli ingredienti.
FINITURA E PRESENTAZIONE
Decorare con fili di erba cipollina, lamelle cipolla rossa e una spolverata di scorza di limone siciliano.

120 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

/ contemporaneamente pizza

pizza
sapiens
di CRISTINA VIGGè

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 121

/ contemporaneamente pizza

Un manifesto, un manuale, l’università e l’universalità di un sapere antico
che sublima in sapore moderno. Frutto di acqua, farine macinate a pietra
e tecnologie all’avanguardia. Con Molino Quaglia la pizza si fa contemporanea

V

alorizzare le forme, le cotture e le farciture. Legate
al genius loci dei diversi territori. E poi prediligere
ingredienti di origine italiana, privilegiando
tecniche di lavorazione e
di conservazione capaci di
migliorare la digeribilità e
la leggerezza della pietanza, a tutto vantaggio del
benessere del consumatore.
Affinché l’agire “cum grano
salis” si traduca “in grano
salus”. Da cui l’importanza
di farine d’eccellenza, di
impasti rispettosi dei tempi
fisiologici di maturazione e
di lievitazione, nonché di un
lievito madre vivo e vero.
Si presenta come un decalogo ben ragionato il Manifesto della Pizza Italiana
Contemporanea, stilato in
occasione della scorsa edizione di PizzaUp, il simposio-lab di scena a Vighizzolo
d’Este sotto l’egida di un’azienda all’avanguardia come
Molino Quaglia. In pratica,
una palestra-fucina in cui
sono stati forgiati i “dieci comandamenti”, di quello che
può esser definito il “nuovo
testamento” della pizza del
Terzo Millennio. Ovvero di
un prodotto culturale, multisensoriale ed esperienziale,
il cui seme, gettato nel passato, possa regalare appetitose e moderne gemmazioni. Alla cui maturazione
concorrono tanto le materie
prime quanto la mano di un
pizzaiolo sapiens, plasmato
dalla tradizione ma spinto
da una passione e da una
preparazione che lo portino a salire i gradini dell’alta
cucina. Dove la pizza abbia
finalmente il suo posto in prima fila. Ossia non sia un mero
mix senza storia, bensì l’espressione di un’arte in costante

122 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

evoluzione. Mezzo di comunicazione e di divulgazione di un
gusto italiano riconoscibile oltre i confini nazionali. Autentica attrice e fautrice di una
dieta mediterranea fatta di
sapori e di valori genuini.
Da qui pure il concetto (brevettato) di pizzeria dinamica, ritratto in un manuale
dedicato e codificato in una
sintesi lungimirante siglata
da Chiara Quaglia e da Piero
Gabrieli, direttore marketing
del padovano molino.
Un modus operandi completo e complesso che
rivoluziona l’idea stereotipata di pizzeria, perfezionando
gestione, organizzazione
e relazione col cliente. E
promuovendo al massimo
un consumo consapevole (e
non frettoloso) della regina
del forno. Un assaporare
riflessivo e meditato, fatto
anche di incontro e confronto con un artigiano che
abbia voglia e capacità di
raccontare il suo saper fare
e voler essere. Per una pizza
in grado di incarnare la
personalità di colui che l’ha
pensata, realizzata e servita.
Insomma, un universo in
continuo fermento, al cui
movimento concorrono
pure satelliti culturali quali
l’Università della Pizza, che
trova sede ne Il Laboratorio, appendice aziendale
destinata alla ricerca, allo
sviluppo e alla formazione.
O meglio, alla riformulazione
del mestiere del pizzaiolo
professionista, protagonista
di una nuova era della pizza.
Che guarda avanti, coniando
nuovi diktat, forti dell’andar
oltre il “si è sempre fatto
così”. Grazie anche a un multidisciplinare modello didattico (suddiviso in base, avanzato e gourmet), che prevede

lezioni, seminari e approfondimenti “dinamici”. Proiettati
al futuro ma tenaci nell’affondare le proprie radici in ingredienti di assoluta qualità. Quali sono le farine griffate Petra:
macinate rigorosamente a pietra; virtuose di fibre, sali minerali e proteine; e figlie di soli cereali italiani. Per una filiera
corta ad alto tasso di tracciabilità. E se la più adatta alle
pizze al piatto si svela Petra
3, non mancano altre farine
vocate alla fragranza. Vedi

l’Allegra, che dona friabilità e un’ottima
alveolatura (ad hoc per impasti diretti con
lievito di birra); la Special, ideale per pizze
al piatto, in teglia e al metro (e per impasti
con tempi di lievitazione di media durata);
e l’Unica, studiata per lunghe lavorazioni
indirette con poolish o biga. Una squadra pronta pure a correre verso una nuova frontiera. Quella che va sotto il nome
di PetraViva, linea costituita da cereali e legumi germinati,
interi o sfarinati. Un progetto in fieri, che vanta un impianto

pilota per la produzione di un food funzionale, capace di
aumentare l’assorbimento degli elementi nutritivi. Per un’alimentazione sempre più “integrata” e meno “raffinata”.
Un mondo attivo e volitivo quello di Molino Quaglia, in cui
svetta pure MamaPetra: macchina incubatrice pratica e
supercompatta (presentata al recente Sigep di Rimini) che
prevede l’automazione dell’usuale rinfresco manuale per la
creazione del lievito madre vivo.
Prezioso dell’e-

nergia biologica di bacilli che trasformano l’acqua e la farina nella materia prima
destinata a dar vita alla pizza. Naturalmente contemporanea.
g www.molinoquaglia.com

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 123

/ gastrovagando / a cura di cristina viggè

marche biologiche

Nel cuore del Montefeltro, un’urbinate oasi gourmet

F

uori, acqua: di tre limpidi
laghetti di campagna. Dentro,
fuoco: di un camino-braciere e
di due forni a legna. Uno moderno in
acciaio e uno in mattoni “a riccio”. E
poi ciottoli e legno bianco, a contendersi pavimenti e soffitti, in un gioco
dalla materica essenza. Pervasa dall’aria e dalla luce, che entra ed esce dalle
grandi finestre. Mentre le querce collegano radici e cielo, bucando il tetto.
E spezzando i canoni dell’architettura.
Così è Urbino dei Laghi: ex capanna
di pescatori con terrazzo-trabucco lacustre. Ma soprattutto un’oasi golosa
che propone pietanze tipiche, prelibatezze creative e “naturalmente” pizza.
Figlia di un lievito madre di 65 anni di

124 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

età, lievitata per 36 ore e preparata
con farine macinate a pietra e prodotti
provenienti da Urbino Agricola, l’azienda che affianca il ristorante e che,
come il ristorante, fa parte della Tenuta Santi Giacomo e Filippo: 360 ettari
a coltivazione biologica, non lontano
dalla città fiorita sotto la dotta figura
di Federico da Montefeltro. Una tenuta esemplare, ideale e illuminata, per
dirla alla maniera rinascimentale, che
si estende fra terra vineata e olivata,
orto botanico e viridarium, boschi e
piantagioni cerealicole, sposando la
filosofia della filiera cortissima. E portando la bontà dal campo al desco.
Sul quale finiscono i dischi gourmet
del fanese pastry-chef Tomas Mo-

razzini. Della serie, pizza con zucca,
gorgonzola e ragù di castagne; con
fonduta di formaggi, tartare di vitello e uovo colante al tartufo nero; e
all’amatriciana, con pancetta rosolata,
cipolla stufata, fior di latte, pecorino e
pomodori appassiti. A cui si aggiunge la bella fragrante al baccalà, mais
croccante, squacquerone e scalogni
di Romagna. Quasi un omaggio a un
romagnolo doc (di Montefiore Conca) qual è lo chef Stefano Ciotti, già
stella Michelin al Vicolo Santa Lucia di
Cattolica e ora approdato tra i fornelli
dei Laghi. Dove esprime il suo genio
culinario, fatto di memoria e di guizzo
verace, di ingredienti genuini e di
accostamenti grintosi. Ecco allora che
nella crema di zucca tiepida si tuffa il
freddo gelato al Gorgonzola e l’insalata si fa bouquet, sbocciando fra porcini, radicchio, cachimela, melagrane,
castagne, scaglie di pecorino di fossa
e scalogni in aceto di Champagne.
Mentre è l’aceto rosso a donare un
tocco profumato al coniglio disossato,
prezioso di lardo, olive nere e finocchio, cotto sottovuoto, arrostito in
padella e servito con spuma di patate
e capperi fritti. Per un piatto countrygourmand che onora l’aia e le erbe.
Intanto, i passatelli abbracciano un
consommé allo zafferano di Talamello
e il tiramisù di Tomas sposa Baileys,
soffice crema al mascarpone e cardamomo verde. Celando un cuore di
ganache al cioccolato fondente e caffè. E nel calice? Finiscono i vini di casa
Bruscoli, la famiglia a cui appartiene la
tenuta, presentati dal sommelier Alan
Mancini: il 100% Verdicchio, il 50/50
(Chardonnay-Sauvignon), il 50/25/25
(Sangiovese-Cabernet SauvignonPetit Verdot), il 70/30 (Cabernet
Sauvignon-Sangiovese) e il Brut Rosé,
a tutto Sangiovese. A tutto relax va
invece il centro benessere, ricavato
dal fienile di quel che era un villaggio
rurale. Ora divenuto Urbino Resort:
ospitalità diffusa in antiche case coloniche sublimate in camere e suite.
g www.urbinodeilaghi.it

SUSHI COSMOPOLITA

GUSTOSO FIL ROUGE

Da Wicky’s, Maki e Nigiri
fanno il giro del mondo

Dalla Toscana alla Cina,
lungo la via della naturalezza

I

l sushi parla milanese. E si sente un po’ francese. Figlio di uno
chef singalese come Wicky Pryan. Che è sì originario dello Sri
Lanka, ma che è pure sposato con una giapponese (Nozomi) e
ha lavorato a Tokyo e a Kyoto, a Parigi e a Bali. Approdando solo
qualche anno fa nella città della Madonnina. Dove ha portato la sua
cucina. Anzi, la sua Wicuisine, personalissima sintesi d’Oriente e di
Mediterraneo, di essenzialità e di ecletticità, di charme e di rigore,
di minimalismo nipponico e di veracità italiana. Per un intrigante
sincretismo cultural-culinario. Del resto lui, laureato in criminologia
ed esperto di ayurveda, è un cuoco capace di mixare abilmente
le spezie e le salse, le cotture lentissime e quelle rapidissime, le
marinature a freddo e i vapori caldi. In un continuo indagare e
sperimentare, riflettere e provare. Fino a trovare la perfetta armonia
fra lo yin e lo yang dei sapori e dei colori. Come accade nel sushi
meneghino, preparato con riso allo zafferano abruzzese e presentato ufficialmente in occasione del primo compleanno del Wicky’s
restaurant, isola preziosa di legni naturali, pareti blu notte, bagliori
di luna e luci-stelle. Et voilà, dunque, il piatto-itinerario around the
world, con decollo da Milano. Uramaki yellow al centro: ripieni di
crema di granchio e tempura di verdure, con chips di Parmigiano.
E nigiri tutt’intorno: di angus con salsa al rosmarino e scagliette di
tartufo; di salmone con zenzero, cipollotto e menta; di gambero siciliano con pomodoro datterino; di ricciola e di tonno con aromatico condimento “dei cinque continenti”. E ancora, di capasanta con
olio monocultivar Leccino e pepe nero; di mazzancolla pugliese
con foglia di wasabi e di baccalà con pomodorino ed extravergine.
Ideale complice di un sensuale Champagne Blanc de Blancs qual è
la cuvée Séduction griffata Marguerite Guyot, l’azienda di Damery
che ha suggellato il Wicky’s menù della festosa soirée. Svelando
altre tre etichette-petali dall’anima cosmopolita, raccontate da
Florence Guyot, la madame della maison. E così la cuvée Désir, nata
dal Pinot Meunier, ha incontrato il tenero polipo cotto secondo la
tradizione jap, nonché il raffinato carpaccio di pesce, sfilata itticoagrumata in cui l’olio si è fuso con la salsa di yuzu per creare una
prelibatezza da bacchetta e da scarpetta. Incorniciata da indivia
belga e bok choi e ingentilita da un trito di capperi di Pantelleria e di olive taggiasche. Sublimate poi in consommé, pronto ad
accogliere un sarago cucinato al vapore e corredato da soia, salvia
e “spaghetti” di zucchine. Superbo al fianco della dorata cuvée
Passion, energica espressione del Pinot Noir. Mentre il Brut Rosé
Fleur de Flo ha corteggiato i sensi sfiorando un gateau di cioccolato e lamponi.
g www.wicuisine.it
g www.champagnemargueriteguyot.com

R

osso. Luminoso e armonioso. Come quello della lucida
lacca cinese e dell’autentico vino toscano. Rosso, radioso
e generoso. Pronto a spiccare fra gli eleganti arredi di un
ristorante di alta cino-cucina qual è il Bon Wei di Milano e lungo il
fianco di un’incontaminata collina della Val di Cecina, dove sorge
la maison Caiarossa, affondando le radici nella rubiconda terra
ferrosa e ghiaiosa. È stato un sottile un fil rouge a unire, per una
sera, il mondo oriental gourmet firmato da Ike Wang e Wang Pei
(marito e moglie, originari dello Zhejiang) e l’universo vitivinicolo
di un’azienda pisana che ha fatto della biodinamica una religione.
Incarnata in una visione olistica della vita e della vite. Anzi, delle viti, ordinate in sedici ettari di vigneti digradanti verso il Mar
Tirreno e trattati con infusioni di ortica, di salice, di camomilla e di
equiseto, al fine di preservare l’intero eno-sistema. Che dona uve
sane, raccolte a mano e condotte in una cantina realizzata secondo i dettami del feng shui dall’architetto Michaël Bolle, che ne ha
studiato orientamento, materiali, luci e colori. Per far scorrere al
massimo un’energia in grado di trasformarsi in forza, calore, vigore.
E in un poker di nettari dall’essenza variegata. Espressione pura del
lusso della natura. Servita nel piatto e nel calice in una cena-viaggio
fra coltura e cultura, sapere e sapore, filari toscani e asiatica Grande
Muraglia. Ecco allora che i deliziosi dim sum messi a punto dallo
chef Guoqing Zhang hanno sposato il corposo Caiarossa Bianco,
figlio dal carattere deciso e minerale del Viognier e dello Chardonnay. Per una sinfonia fra vino solare e soavi shao mai di gambero,
ravioli di verdura in pasta di spinaci e tagliatelle di riso con insalata
e vitello. Da assaporare con le eco-bacchette in acciaio della linea
Branch by Broggi 1818. Intanto, il Pergolaia, vellutata summa di Sangiovese, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, ha accolto
il tenero manzo con porri alla piastra, corredato da riso saltato nel
wok con ortaggi e salsa di soia. Per poi lasciare spazio al possente
Caiarossa, etichetta-mosaico che compendia sette vitigni: Cabernet
Franc, Merlot, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot, Syrah
e Alicante. Per una brezza bordolese in piena landa toscana. Felice
di sfiorare le costine ai cinque aromi (sale, pepe, zucchero, soia e
cannella). E per finire con garbata dolcezza? Candide polpette di
riso e cocco con salsa di mango e Oro di Caiarossa, frutto della
vendemmia tardiva di Petit Manseng in purezza.
g www.bon-wei.it
g www.caiarossa.com
gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 125

/ eventi

rivoluzionarie
identità
di cristina viggè

Nona edizione per il Congresso Internazionale di Cucina e Pasticceria d’Autore. Fra novità, riconferme e
la gustosa complicità del Milano Food&Wine Festival

Parola d’ordine: rispetto. Per le
materie prime e per la natura degli
ingredienti. Per i ristoratori e per gli
avventori. Ma anche per una verità
sempre più glocal. Capace di superare l’hic et nunc e di guardare oltre.
Oltralpe e Oltreoceano, in un continuo
scambio culturale ed emozionale. Per
una sconfinata esplorazione di valori,
saperi e sapori. Che si compenetrano
e si completano.
126 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

Guarda sempre più verso una riflessiva globalità culinaria la nona edizione di Identità Golose, il Congresso
Internazionale di Cucina e Pasticceria
d’Autore che ritorna, dal 10 al 12 febbraio, al Milano Convention Center di
via Gattamelata. Allestito ad hoc per
accogliere relatori italiani e stranieri
pronti a raccontarsi e a raccontare un
savoir-faire mai dimentico del savoirêtre. Perché l’esperienza e le relazioni

umane siano al centro di un’evoluzione creativa concentrata sulla semplicità e sulla personalità di chi i piatti li
pensa e li fa.
Ecco dunque una tre giorni che
snocciola tematiche dolci e salate,
offrendo alla mente nuove prospettive
gustose, dalle quali osservare per sviluppare inediti percorsi. Ascoltando,
ad esempio, “I nuovi leoni della cucina
mondiale”, che entrano in auditorium

giungendo da ogni latitudine. Vedi
Thiago e Felipe Castanho del brasiliano Remanso do Peixe, Magnus Nilsson
dello svedese Faviken Magasinet,
Ángel León dello spagnolo Aponiente e Bertrand Grebaut del parigino
Septime. Che condividono il palco con
Massimiliano Alajmo e Massimo Bottura, Carlo Cracco e Matteo Baronetto,
Enrico Crippa e Davide Scabin, Davide
Oldani e Daniel Humm, direttamente da New York. Mentre in sala blu si
alternano le “Identità di Pasta” e le
“Identità di Sala”. Con personaggi del
calibro di Antonio Santini del ristorante Dal Pescatore, Josep Roca de
El Celler de Can Roca (di Girona) e
Alessandro Pipero, maître, sommelier
e patron del romano Pipero al Rex.
Per poi proseguire fra “Identità di Pizza” e “Identità Naturali”, assaporando
il trapizzino di Stefano Callegari (dello
Sforno di Roma) e la pizza nouvelle
vague firmata Gianfranco Iervolino
(della partenopea Pizzeria Lucignolo
Bella Vita di Boscotrecase), nonché le
ricette a tutta salute by Simone Salvini
di Organic Academy, Nicola Portinari
de La Peca vicentina, Niko Romito
dell’aquilano Reale e Pier Giorgio
Parini del riminese Povero Diavolo. E
finendo con una giornata interamente dedicata ai talenti fiamminghi e ai
dolci divertissement di Jordi Roca,
Maxime Meilleur de La Bouitte, James
Petrie del british The Fat Duck, Eric
Pras ed Emilie Rey della Maison Lameloise e Heinz Beck de La Pergola
di Roma. Sotto la ghiotta insegna di
Valrhona.
Così come molti assaggi e appuntamenti appetitosi van sotto la sigla di
aziende partner ormai da anni. Quali il
Consorzio Tutela Grana Padano, Birra
Moretti, Lavazza, Acqua Panna
S.Pellegrino, Mirafiore & Fontanafredda. A cui si aggiungono numerose
maison espositrici e una collaborazione d’eccellenza con Molino Quaglia,
fornitore ufficiale delle farine utilizzate
al congresso.
Che prosegue anche fuori mura, grazie ai menu studiati per la manifestazione da una quarantina di ristoranti
cittadini ed extra urbani. Vedi quello
di Cristian Magri a Settimo Milanese, il
Devero by Enrico Bartolini a Cavenago
di Brianza, l’Antica Osteria Magenes a
Barate di Gaggiano, il Charlie 1983 ad

Albairate e l’Antica Osteria del Ponte
a Cassinetta di Lugagnano. Senza
dimenticare un delizioso appuntamento griffato Reed Gourmet, per la
presentazione ufficiale della nuova
Grandecucina (sì, proprio questa) e
dei volumi di ultima pubblicazione,
nella grande cucina di Sergio Mei, al
Four Seasons. Chef protagonista, tra
l’altro, di “Identità Sarde”, insieme a
Elio Sironi, Stefano Deidda e Roberto
Petza. Per una full immersion isolana
e solare.
Un paniere ricco quello di Identità Golose, così come lo è anche quello del
Milano Food&Wine Festival, cugino
meneghino del Merano WineFestival,
sempre capitanato da Helmut Köcher
e di scena dal 9 all’11 febbraio nella
stessa location di Identità. In pratica?
Un maxi banco d’assaggio che conta
la presenza di oltre cento cantine, sia
nazionali che estere, ciascuna con tre
vini in degustazione. Per un enoico
viaggio all’insegna dell’eccellenza in
sorsi.
Tanto, ai morsi ci pensano selezionati
artigiani del gusto, pronti a far conoscere le loro specialità, un carrello di
salumi e formaggi e un buffet di dolci
realizzato da Enrico e Roberto Cerea
del bergamasco Da Vittorio. Che
stanno pure alla regia di una staffetta
coquinaria che coinvolge più di venti
chef in tre giorni. Per bocconi d’autore
preparati in diretta e serviti anche in
formato tapas tricolore. Fra i cuochi?
Luigi Sartini della Taverna Righi di San
Marino, Cristina Bowerman della capitolina Glass Hostaria, Christian e Manuel Costardi della vercellese Cinzia e
una serie di chef che giocano in casa:
Luigi Taglienti del Trussardi alla Scala,
Viviana Varese di Alice, Cesare Battisti
del Ratanà, Eugenio Boer di Enocratia,
Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni de Al Mercato, Roberto Okabe
del Finger’s Garden e Wicky Prian del
Wicky’s.
Un vero e proprio temporary restaurant in formato magnum.
g www.identitagolose.it
g www.foodwinefestival.it

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 127

/ eventi

S

orrento ha sorriso alle donne:
chef, scrittrici, stiliste e imprenditrici. Protagoniste (non
assolute) della nona edizione di una
dicembrina kermesse che, da sempre,
va sotto l’egida dei fratelli Stefano e
Sergio Massa. Patron di Villa Massa,
azienda nota nel mondo per la produzione di un limoncello d’eccellenza.

Liquore giallo che sigilla un appuntamento capace di unire cucina, moda e
arte in una tavolozza appetitosa, fatta
di tanti momenti cultural-golosi: le
Giornate Gastronomiche Sorrentine.
Ecco allora la presentazione di un libro
vergato da Licia Granello, firma food
de la Repubblica, ed edito da Rizzoli:
“Il gusto delle donne - Il mestiere della

sorrento si
tinge di rosa
di cristina viggè

Sul palco della nona edizione delle Giornate Gastronomiche Sorrentine sono salite le donne: imprenditrici, scrittrici, stiliste e chef. In una trama
gustosa che ha visto protagoniste le cucine di Campania, Piemonte e Toscana

128 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

tavola in venti storie al femminile”.
Un volume scritto da una giornalista
buongustaia (e tifosa del Torino) forte
del ritrarre ladies che hanno fatto del
cibo e del vino una ragione di vita. E
un successo. Mettendoci determinazione e saltellando con infinita passione dalla professione alla mansione di
mamma e di moglie. Insomma, donne
del Settentrione e del Meridione, più
o meno giovani, più o meno privilegiate, che hanno saputo incoronare la
femminilità con la cerebralità. Et voilà
cuoca Luisa Valazza stirare e cucinare
nella sua bella maison Al Soriso; Giannola Nonino e le sue tre figlie intessere
friulane storie di grappa; Domenica
(detta Mimma) Ordine sporcarsi le

mani di farina all’ombra della Mole
Antonelliana; e Maida Mercuri, titolare
e sommelière del ristorante Al Pont de
Ferr di Milano, elevarsi a “Nostra Signora dei Navigli”, illuminata dall’astro
Michelin. Che splende pure sulla toque
di alcune delle chef che hanno messo
a punto una soirée gourmet in equilibrio fra Campania, Toscana e Piemonte, miscelando tradizione e piglio
pink. Della serie: Rosanna Marziale de
Le Colonne casertane, Marianna Vitale
del Sud di Quarto, Natascia Santandrea e Maria Probst de La Tenda Rossa di Cerbaia in Val di Pesa e Marina
Ramasso dell’Osteria del Paluch di
Baldissero Torinese. Tutte impegnate
nella preparazione di un piatto-sim-

affiancata da Maria? Ha reso omaggio
al toscano Panforte e al rustico cappone, trasformandoli in una portata
di classe, corredata da una mousse di
patate black e white, ossia al naturale
e al nero di seppia. Per un gioco di
assonanze fra aia e acqua salata. Unico angelo tra le donne? Salvatore De
Riso, dell’Accademia Maestri Pasticceri
Italiani. Che ha suggellato la cena nella
sala Ginestre dell’Hilton Sorrento Palace con il Sentimento di Sal, femminil
dessert candido e rubino, stratificato
compendio di crema ai tre formaggi
(stracchino, mascarpone e yogurt di
Vipiteno), gelatina di lampone e pan
di spagna alla vaniglia.
Un menu veracemente raffinato, rit-

egen. Olandese come Ron Blaauw,
incoronato miglior chef straniero dal
“Premio Villa Massa” (e da un premio
speciale consegnato da MSC Crociere). Il suo merito? Quello di fare una
cucina locale e globale, appassionata
e democratica. Un premio importante, che ha anche consacrato Alfonso
Caputo della Taverna del Capitano di
Marina del Cantone (a Massa Lubrense), per la sua capacità di enfatizzare
e sublimare il mare (quello della “sua
baia”) in pietanze che fanno di bellezza prelibatezza; Anna Scafuri del Tg1,
curatrice della rubrica “Terra e Sapori”,
e la Comunità di Sant’Egidio per i progetti “Food for Life” e “Wine for Life”,
che coinvolgono il mondo agroalimen-

bolo della loro rosea filosofia. E così
Rosanna è stata l’artefice di un mix
di sapori, incarnato nella pasta mista
mischiata alla minestra maritata con
salsa di friarielli e latte di Mozzarella
di Bufala Campana Dop; Marina ha
concentrato il Piemonte negli agnolotti alla farina di castagne, farciti di porri
e patate e nappati con burro fuso, rosmarino, Grana Padano e tartufo nero;
mentre Marianna ha riletto il mare in
una cromatica minestra-tavolozza in
cui il pesce crudo dialogava con quello marinato e le verdure scottate duettavano con la frutta pura. E Natascia,

mato da una wine list che ha onorato Le Donne del Vino, associazione
guidata da Elena Martusciello della
partenopea Grotta del Sole. Dove
nascono Falanghina e Piedirosso dei
Campi Flegrei, Lacryma Christi del Vesuvio, nonché Quartodiluna (da uve
Greco di Tufo) e Quartodisole (da uve
Aglianico). Per sorsi radiosi. Mentre
i sorrisi di Veronica Maya, sorrentina
madrina della rassegna, hanno scandito il galà, intervallato dalla sfilata
d’abiti d’alta moda griffati dalla stilista
romana Giada Curti e da quella di preziosa maglieria by Conny Groenew-

tare nel sostegno alla malnutrizione
in Africa. A sostegno della Caritas è
andato invece il ricavato nella serata “Una pizza per la vita”, di scena
a Camera&Cucina, fra montanare,
panciute pizze fritte ripiene di ricotta
e cicoli e timballini di pasta, siglati da
un terzetto di pizzaioli doc quali Enzo
Coccia, Gino Sorbillo e Salvatore Di
Matteo. Il tutto incorniciato da Syrentum, bionda spumeggiante nobilitata
da scorze di limoni di Sorrento.
g www.premiovillamassa.com

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 129

/ genius loci

L

a bottarga è una di quelle cose
che si amano o si odiano. Non
può piacere solo un po’ o solo a
volte. Il mondo è diviso tra quelli che
la metterebbero anche nel caffellatte
e quelli che si tappano il naso per non
sentirne l’odore.
Che siate tra coloro che si turano il
naso o no, sappiate che in Italia è prodotta da secoli principalmente in tre
regioni: Sardegna, Toscana e Sicilia. E
che se, grazie alla sua conservabilità,
nacque come nutrimento per marinai
e pescatori, è oramai diventata, come
spesso accade agli alimenti “poveri”,
un prodotto di élite.

La bottarga, termine che deriva dall’arabo botarikh, “uova di pesce salate”
(la cui origine pare venga fatta risalire
addirittura ai Fenici), è tradizionalmente di cefalo o di tonno: dal colore
dorato ambrato e dal sapore più
delicato la prima, dal gusto più forte
e deciso e dal colore rossastro la seconda. In entrambi i casi, la si prepara
estraendo con grande attenzione le
sacche ovariche del cefalo o del tonno
femmina, mettendole sotto sale, pressandole e facendole essiccare.
Il cefalo da cui si ricava la bottarga,
Mugil cephalus, vive essenzialmente
negli stagni salmastri della Sardegna

bottarghe
d’italia
di lydia capasso

Di cefalo o di tonno, hanno sapore e sentore forti.
E se le più note sono quelle di Cabras e di Orbetello,
vengono prodotte anche a Favignana e a Carloforte
130 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

(famosissima è la bottarga prodotta negli stagni di Cabras, sulla costa
centro-occidentale dell’isola) e nelle
lagune tirreniche (quella di Orbetello
è presidio Slow Food). A Cabras, la
sua produzione avviene a settembre,
quando i muggini sciamano verso le
reti dei pescatori. Qui le sacche vengono tenute sotto sale per un periodo
variabile e la loro stagionatura o essiccazione avviene naturalmente all’aria,
grazie al clima mite della zona, e può
durare fino a sei mesi, a seconda delle
dimensioni. Inoltre, sempre a Cabras,
in piazza Stagno, si tiene ogni anno ad
agosto un’interessante sagra dedicata

a questa ittica specialità. Tra agosto
e settembre vengono pescati anche
i muggini nella laguna di Orbetello.
Le sacche ovariche, accuratamente
pulite ed eviscerate, rimangono sotto
sale solo per due o tre ore. Dopo
averne eliminato con grande attenzione il sale, vengono lavate e messe
ad essiccare per circa una settimana.
Questo metodo di lavorazione rende
la bottarga di Orbetello più delicata
rispetto a quella sarda.
La bottarga di tonno, invece, nasce
essenzialmente in Sicilia, a Favignana (dove è un presidio Slow Food),
a Marzamemi e a San Vito lo Capo,

mentre in Sardegna, a Carloforte.
È poco nota una piccola produzione calabra. Il periodo di lavorazione
comincia verso fine maggio ed è strettamente legato alla fine della mattanza. A Carloforte, la sacca ovarica del
tonno viene lavata accuratamente con
acqua di mare, salata da entrambi i lati
e posta su tavole di legno con un peso
sopra. L’operazione viene ripetuta
una volta al giorno fino ad eliminare
ogni liquido residuo. Molto simile è
la lavorazione a Favignana, dove le
sacche vengono messe sotto tavole
di legno e poggiate su piani inclinati
per farne defluire il liquido contenuto

e poi appese con lacci di canapa per
farle stagionare.
Specialità simili alla bottarga italiana
sono diffuse anche in Provenza e nella
Spagna catalana, dove si preparano
con uova di molva, un pesce assai simile al merluzzo. Un tipo di bottarga è
prodotto anche dalle donne Imraguen,
una popolazione nomade che vive
sulle coste settentrionali della Mauritania e che sposta i propri villaggi
fatti di capanne seguendo i movimenti
dei grandi banchi di cefali dorati e di
ombrine lungo il Banc d’Arguin.
g www.gastronomiamediterranea.com

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 131

© Fotolia

/ ad sensum

grana dell’insaccato, che può essere
grossa o fine, ma anche l’impiego dei
soli aglio e pepe, oppure l’aggiunta di
altri ingredienti quali, ad esempio, il
peperoncino o i semi di finocchio.
Produzione
Per approntare il salame si inizia con il
disosso del suino e con la mondatura
delle carni, durante la quale vengono
eliminati gli scarti. Dopo alcune fasi
intermedie si passa alla triturazione,
alla concia ed alla successiva miscelazione. Si prosegue poi con l’insaccatura, per la quale possono essere
impiegate budella naturali (bovine,
suine, ovine o equine), artificiali e
sintetiche. A seguire la legatura, per
la quale vengono utilizzate differenti
tipologie di materiale e la successiva
asciugatura. Il processo si chiude con
l’importante fase della stagionatura
(o invecchiamento) durante la quale
il salame subisce mutazioni chimicofisiche e microbiologiche. Si tratta di
una fase basilare per l’affinamento del
salume e per conferire allo stesso le
caratteristiche organolettiche tipiche
della tipologia di appartenenza.

il salame,
quello crudo
di davide oltolini

L’insaccato per eccellenza della norcineria nazionale si racconta fra iter di preparazione, tecniche di
degustazione e qualche saporita curiosità
Caratteristiche
Il salame crudo rappresenta uno dei
prodotti di eccellenza della norcineria nazionale. È apprezzato in tutte
le regioni d’Italia, nelle quali ha però
assunto peculiarità diverse a seconda
degli usi locali e delle differenti caratteristiche ambientali. Tra i prodotti
più noti il Felino (che prende il nome
dall’omonima località in provincia di
Parma), il Milano, noto anche come
Crespone (ottenuto per un terzo da
carni magre suine, unite a carni bovine
e a pancetta), il Napoli (tipico di tutta
132 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

la Campania, con carne magra di suino e vitello, unita a grasso di maiale),
il Varzi (prodotto in Oltrepò Pavese con tagli di spalla, coscia, lonza,
filetto, coppa e panettoni), quello di
Cinta senese (razza suina riscoperta
in tempi recenti, ricreandone il genoma che si era quasi completamente
perso), l’Ungherese (a grana fine) e il
Piacentino (stagionato in località che
non superano i 900 metri di altitudine per un periodo non inferiore ai 45
giorni), solo per elencarne alcuni. Tra
le variabili maggiormente evidenti, la

Degustazione
Come per il vino, anche per i salumi (e
il salame in particolare) esistono tecniche di degustazione molto precise,
che permettono di giudicarne il livello
qualitativo attraverso la valutazione
di alcune caratteristiche. Tra queste
ultime, all’esame visivo, prima del taglio della fetta, vi sono la tipologia del
budello, la piumatura, ovvero lo strato
di muffa presente sulla superficie del
salame e l’assenza di imperfezioni
esterne. Una volta tagliata la fetta, va
verificata l’assenza di parti rancide
e di frazioni aponeurotiche (ovvero
della membrana fibrosa che si stende
fra i muscoli dell’animale), oltre alla
colorazione, che deve essere rispondente alla tipologia del salume. Si
passa poi alla verifica della cosiddetta
“pelabilità”, ovvero lo stacco della pelle, che deve avvenire facilmente, ma
non troppo. Si prosegue con l’esame
olfattivo, durante il quale si verifica la
complessità aromatica del salame, per
passare poi a quello gustativo, con
particolare attenzione alla sapidità ed
alla struttura dello stesso. Va anche
verificata la coesione fra la parte

© Fotolia

magra della fetta ed i lardelli, ovvero
la parte grassa ed, infine, va valutata
la cosiddetta persistenza (ovvero i
sentori percepiti per via retronasale,
cioè dopo aver deglutito il prodotto
ed espirato).
Curiosità
In ossequio ad una tradizione degli
insaccati radicata sin dai tempi più remoti, pare che addirittura il re longobardo Ròtari (regnante dal 636 al 652
d.C.) avesse stabilito pene severissime
in un suo editto per chiunque avesse
osato maltrattare un “porcaro”, categoria professionale che, specialmente
in alcune particolari zone del nostro
paese, riscuote, ancor oggi, grande
considerazione e rispetto.

www.davideoltolini.net
twitter: @davide_oltolini

Padus di maiale “nero”
Pedrazzoli

Salame ungherese
Levoni

Salame di Varzi
Dedomenici

Il Salumificio Pedrazzoli è un’azienda
familiare di origini mantovane nata
nel 1951, con allevamenti in Lombardia
ed Emilia Romagna ed una propria
filiera suinicola. All’anno, 19mila suini
vengono macellati e trasformati, con
una produzione annua di 25.500 tonnellate di carne. Tra le diverse proposte spicca il Salame Padus di maiale
“nero”, realizzato con tutte le parti nobili del suino pesante allevato per oltre
13 mesi. Insaccato, in budello naturale,
viene lasciato asciugare e stagionare
per almeno cinque mesi nella penombra di una cantina umida. La grana è
grossa e l’aroma risulta leggermente
agliato, con sapore gradevolmente
speziato.

Levoni rappresenta un grande gruppo presente in oltre 50 Paesi con un
catalogo che conta più di 300 prodotti. Il Salame ungherese Levoni è stato
creato nel 1911 dal fondatore Ezechiello Levoni e premiato con la medaglia
d’oro all’Esposizione Internazionale di
Londra nel 1913. L’impasto, rigorosamente a grana molto fine, è arricchito da paprica dolce. Delicatamente
affumicato, ha un sapore morbido e
rotondo, molto gradevole al palato,
equilibratamente dolce e aromatico. Il
salame ungherese non contiene fonti
di glutine e lattosio.

Le origini del salumificio Dedomenici
risalgono al lontano 1799. La produzione è artigianale, con materie prime
di qualità. Per il salame vengono
impiegati solo suini maturi. L’età dei
maiali è superiore a un anno e la media del loro peso va oltre i due quintali. L’approvvigionamento dei suini è
effettuato nella zona e nelle province
confinanti. Per il salame vengono
utilizzate le parti migliori del suino:
coscia 30%, spalla 25%, lombo e filetto
15%, golari, pancette ed altre parti
30%. Il salame, gustoso e aromatico, è
insaccato in budello naturale e legato
ancora a mano a maglie strette.

g www.levoni.it

g www.salumidedomenici.it

g www.salumificiopedrazzoli.it
gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 133

/ nel bicchiere di luca

S

i tratta di un vitigno dai connotati unici, le cui radici affondano
saldamente nei suoli di origine
vulcanica di aree ben delimitate del
Sud Italia, caratterizzate da un clima
caldo e asciutto e poste ad un’altitudine sufficiente a garantire adeguata
ventilazione e ottima esposizione. Una
varietà antichissima, importata dalla
Grecia intorno all’VIII secolo a.C. all’epoca della fondazione della città di
Cuma, colonia ellenica localizzata oggi
nell’area vulcanica dei Campi Flegrei,
in provincia di Napoli.
Il nome Aglianico deriva infatti, con
ogni probabilità, dalla mutazione del
termine “Hellanico” o” Hellenico”,
adottata dagli spagnoli durante la
dominazione aragonese del regno di
Napoli, tra il XV e il XVI secolo.
Un’altra ipotesi suggerisce invece che
il nome derivi dal termine latino aglaia,
che significa splendore, e numerosi
ricercatori, uno dei quali Giuseppe
Murolo, agronomo e studioso di viticoltura, hanno avanzato l’ipotesi che
l’Aglianico fosse in realtà un vitigno
assolutamente autoctono, vista l’assonanza esistente tra Glianico (termine
dialettale per Aglianico) e Gauranico
(antico vino dell’Ager Falernus).
Citato da Plinio il Vecchio, che ne
decantò le virtù nei suoi scritti, l’Aglianico fu oggetto dell’interesse di altri
autori quali Virgilio, Cicerone, Catullo.
Questo vitigno a bacca nera divenne celebre sotto l’Impero Romano in
quanto componente fondamentale del
Falerno, il vino simbolo della Campania Felix.
Numerosi sono i sinonimi associati alla
varietà (Aglianica, Agliano, Agnanico, Cascavaglia, Cerasole, Ellenico,
Ellanico, Fresella, Gagliano, Glianico,
Gnanica, Gnanico, Ruopolo, Spriema,
Uva dei Cani, Uva di Castellaneta), ma
limitata è la diffusione, che interessa
in particolare le province di Avellino e
Benevento in Campania, di Potenza e
Matera in Basilicata, ma anche particolari aree della Puglia (Castel del
Monte Doc) e del Molise (Molise Doc).
Rientra quindi nella composizione di
numerose Doc della Campania: Cilento, Costa d’Amalfi, Galluccio, Guardia
Sanframondi, Irpinia, Penisola Sorrentina, Sannio, Sant’Agata dei Goti,
Solopaca, Vesuvio.
Merita una particolare menzione la
134 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

aglianico,
storia
di un successo
annunciato
di luca gardini

Una varietà alla base di molti vini del Sud Italia, destinati a diventare vere icone. Terreni di natura vulcanica, sole e vento sono condizioni necessarie, ma è
il sapiente lavoro dell’uomo a rendere questi nettari straordinari

Doc Falerno del Massico Rosso, situata nei pressi del Monte Massico, in
provincia di Caserta.
L’affascinante opulenza di questo
vino rievoca i fasti dell’antichità, per
via della ricca consistenza gustativa e
dell’intensità aromatica.
Attualmente il vino-simbolo di questa regione è però il Taurasi Docg,
originario dell’antica città di Taurasi,
in provincia di Avellino, importante
centro vitivinicolo fin dalle epoche più
remote. E proprio grazie ad Antonio Mastroberardino, che produceva
Taurasi a fine Ottocento, il vitigno
Aglianico fu conosciuto e apprezzato
in tutta Italia. Ancora oggi l’azienda
firma un Taurasi affascinante e austero, profondamente legato alla tradizione e al territorio. Un vino in grado
di raggiungere altissimi vertici qualitativi e di competere con i migliori rossi
d’Italia e del mondo. Tant’è che la sua
eleganza, anche nella versione riserva,

fornisce una valida spiegazione a
come l’Aglianico si sia guadagnato
l’appellativo di “Barolo del Sud”.
Altro interessante vino campano, che
ha recentemente ottenuto il riconoscimento a Docg, è l’Aglianico del Taburno. Negli ultimi anni, infatti, questo
nettare, caldo e raffinato, prodotto nel
Beneventano con un minimo dell’85%
di uve Aglianico, si è fatto apprezzare
e conoscere, sia nella versione rossa,
base o riserva, che in quella rosata.
Quest’ultima rivela particolari sfumature della varietà Aglianico, le cui uve,
dotate di un ottimo equilibrio acidosapido, possono offrire vini freschi e
profumati.
In Basilicata, in aree poste alle pendici
del Monte Vulture, i terreni di origine
vulcanica conferiscono alle uve una
forte impronta minerale. Da grappoli
rossi e succosi si ricava l’ormai celebre
Aglianico del Vulture Doc, un rosso
possente, di straordinaria persisten-

za, eppure avvolgente e succoso al
palato.
Diverse le aziende che lo producono
ai massimi livelli, come ad esempio la
storica Paternoster, le Cantine del Notaio o quella della brava produttrice
Elena Fucci. Tutte situate nella provincia di Potenza.
In Basilicata, troviamo poi una discreta presenza del vitigno Aglianicone
che, malgrado l’assonanza con l’uva
in oggetto, presenta caratteri assolutamente propri e nessun vincolo di
parentela con l’Aglianico del Vulture o
con quello campano, anche se alcuni
studiosi sostengono il contrario, annoverando l’Aglianicone tra i biotipi di
Aglianico attualmente conosciuti.
Benché l’area di produzione e le tecniche impiegate determinino sensibili
differenze nei nettari a base Aglianico,
si possono individuare caratteri comuni e ricorrenti. Gli acini di uve Aglianico concentrano generalmente, oltre
ad un sostenuto tenore zuccherino,
un’elevata acidità tartarica e abbondanti sali minerali. I vini realizzati con
queste uve possono talvolta mancare
di rotondità, per via di un’importante
struttura tannica difficile da contenere, ma con l’affinamento in legno
acquistano notevole finezza, profondità gustativa e complessità aromatica. Se in un Aglianico non è difficile
individuare aromi di ciliegia, prugna,
mora selvatica e viole, con l’evoluzione
il corredo si arricchisce di sentori di
tabacco, spezie, china, che diventano
poi eterei, talvolta salmastri, raffinati e
sorprendentemente freschi.
L’attenzione che negli ultimi anni è
stata rivolta a questi straordinari vini
del Sud Italia è assolutamente meritata e per molti versi il loro potenziale
resta tuttora inespresso. L’Aglianico
può presentare in gioventù un carattere ruvido e spigoloso e il suo consumo
può risultare pertanto difficile a molti.
Per poterne apprezzare il carattere
e la tipicità occorrono un approccio
metodico e una discreta esperienza
nel campo della degustazione. Ma i
caratteri di forza ed eleganza, tipici
di un Aglianico sapientemente affinato, non possono che sorprendere ed
emozionare, tanto da meritare, con
assoluta certezza, un posto di diritto
tra i grandi del vino italiano ed internazionale.

“Radici” Taurasi Docg 2008 - Mastroberardino
Punteggio: 96/100
Si presenta alla vista di un bel colore rubino, luminoso e non
particolarmente fitto. Ricco e consistente, offre al naso aromi eleganti e complessi. Emergono in prima battuta richiami
di ciliegia e mora selvatica, che subito sfumano verso nuance terrose, con ricordi di noce moscata, fungo essiccato e
oliva nera. Ampio e avvolgente al palato, con tannini corposi
e ben integrati e di ottimo l’equilibrio acido-sapido.
Abbinamenti
Costolette d’agnello in crosta di spezie,
capretto al forno con olive.
“Il Sigillo” Aglianico del Vulture Doc 2008
Cantine del Notaio
Punteggio: 89/100
Veste rubino, compatta e impenetrabile. Al naso è intenso,
profondo, con sentori di piccoli frutti rossi, prugna fresca e
viole. Affiorano, in seconda battuta, ricordi olfattivi di alloro,
chiodi di garofano, cacao amaro e sfumature eteree. Austero e deciso al palato, dove la componente tannica si percepisce con forza, mantiene un carattere fruttato e succoso.
Abbinamenti
Filetto di cinghiale al tartufo, formaggi stagionati.

“Contado” Aglianico del Molise Doc Riserva 2009
Di Majo Norante
Punteggio: 86/100
Colore rubino di media trasparenza. All’olfatto suggerisce
ricordi di amarena, mirtillo e rosmarino. Si identificano, in
seconda battuta, aromi di fiori essiccati e cardamomo, con
tocchi lievemente muschiati. Al palato è ricco, con tannini
vivaci e una piacevole sfumatura selvatica. Chiude sapido
con ricordi di cappero essiccato.
Abbinamenti
Faraona ai funghi porcini, bistecca di manzo alla brace.

“Black Magic” Falerno del Massico Rosso Doc
2011 - Ager Falernus
Punteggio: 92/100
Rubino intenso e luminoso, di grande fascino. Il corredo
olfattivo è ampio ed espressivo, con profumi di amarena,
mirto, rabarbaro, ai quali si aggiungono note di semi di
finocchio, china e maggiorana. In bocca, si offre particolarmente caldo e fruttato, malgrado l’irruenza della componente acido-tannica. Ne deriva un vino di grande carattere
e dalla lunga persistenza gustativa.
Abbinamenti
Maltagliati al ragù d’anatra, sella di lepre al timo.

“Le Mongolfiere a San Bruno” Aglianico del
Taburno Rosato Docg 2011 - Fattoria La Rivolta
Punteggio: 79/100
Di colore rosato vivo con lievi sfumature arancio. Rivela al
naso sentori di fragola, ibisco, sfumature minerali e accenni
di erbe aromatiche. Denota al palato estrema pulizia, gusto
fresco e sapido con ricordi speziati e un lungo finale ammandorlato.
Abbinamenti
Bocconcini di salmone all’aneto, lasagnette alla verdure.

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 135

/ sommelier

in viaggio con
l’oreno
di alesSandro franceschini

Insolita verticale alla scoperta di un vino aretino
dall’anima versatile. Capace di modificarsi nel corso
degli anni e di assumere nuove sfumature sensoriali

I

l suo nome è quello del fiume che
attraversa la proprietà. L’azienda
che lo produce richiama, invece, uno storico ponte che collega le
sponde dell’Arno tra Firenze e Arezzo.
L’Oreno è certamente il vino più rappresentativo della Tenuta Sette Ponti,
sita all’interno di una delle tante zone
che animano il frastagliato universo
del Chianti, cioè quello della provincia
di Arezzo, senza dubbio meno nota e
mediaticamente importante di quella
136 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

“classica” (tra Firenze e Siena), culla
del tuscan wine forse più famoso al
mondo. E non è un caso se sugli altari
della critica nazionale e, soprattutto,
internazionale (basti citare il quinto
posto nella Top Hundred della rivista
Wine Spectator, alla fine del 2006,
con il millesimo 2003) sia sempre
andato il vino meno legato, quanto meno considerando la sua base
ampelografica, al vitigno principe del
luogo, vale a dire il Sangiovese.

Benché, infatti, anticamente, questo
territorio fosse considerato tra i più
vocati dell’intera regione (nel 1716, il
Granduca di Toscana denominò con
un bando questa zona “area vitivinicola d’elezione”) e nonostante oggi
vi si possa produrre un vino-simbolo
qual è il Chianti, non è certamente per
merito di questa denominazione che
l’area continua a vantare consensi e
fama.
Negli anni Cinquanta, le principesse
Margherita e Maria Cristina di Savoia
d’Aosta cedettero i terreni alla famiglia Moretti e al condottiero dell’attuale realtà, Antonio, la cui attività
spazia anche in altri settori, la moda
in particolare. Al momento, la Tenuta
Sette Ponti è una azienda circondata da 330 ettari di terreno, di cui 50
vitati, posizionati a circa 300 metri sul
livello del mare e composti in modo
eterogeneo da argilla, sabbia, calcare
e, naturalmente, dal tipico galestro.
Quattro i vini-vessillo: due legati al
Sangiovese, ossia il Chianti Vigna
di Pallino e il Crognolo (blend con
piccole quantità di Merlot e Cabernet
Sauvignon), l’Anni, bianco che unisce
Sauvignon Blanc e Viognier, infine, lui,
l’Oreno. Oggi, un classico supertuscan
che vede il Cabernet Sauvignon dominare insieme a Merlot e Petit Verdot,

ma all’inizio del suo “viaggio”, che
vide la sua prima annata in commercio con il millesimo 2000, il Sangiovese recitava una parte non secondaria
all’interno del blend.
Testare la tenuta di alcune versioni
dei primi anni è stata l’occasione per
verificare non solo lo stato dell’arte,
ma anche per capire meglio il cambio
stilistico che, a un certo punto, ha segnato la strada di uno dei protagonisti
più rappresentativi di quella categoria
sui generis rappresentata, per l’ap-

punto, dai cosiddetti supertuscan. Ad
ospitare l’evento, il neo stellato ristorante Vun del Park Hyatt di Milano,
che vede in cucina il talento dello chef
napoletano Andrea Aprea. A condurre
le danze, l’estro e il palato del miglior
sommelier del mondo: Luca Gardini.
Sei le annate degustate, tutte in versione magnum: tre antecedenti il cambiamento del blend e quindi con la
presenza del Sangiovese (2001, 2003
e 2004; tre con la ricetta definitiva,
l’arrivo del Petit Verdot e l’abbandono
del nobile autoctono toscano (2007,
2008, 2010). E, com’era prevedibile,
la sanguignità del Sangiovese, al di là
delle diverse annate, timbra il carattere dei vini in modo abbastanza netto
e con incisività. A partire dalla prima
annata degustata, la 2001, terrosa, con
il classico sentore fruttato di prugna
in primo piano e la ricchezza di note
di tabacco e di goudron a completare
un quadro olfattivo di ottimo pregio.
La 2003 non è stata la bottiglia più
entusiasmante della verticale, ma
certamente una delle più sorprendenti. Circa l’infuocata vendemmia di
quell’estate si è oramai scritto a iosa,
non così frequente è invece trovare
vini non solo vivi e vegeti, ma soprattutto non caratterizzati da note cotte
e un po’ stanche. Compatto e integro,

don raffinate note di macchia mediterranea e, in bocca, nonostante la
presenza di una trama tannica non di
grandissima grana, ha dalla sua struttura e un piacevole dinamismo. Con il
2004 si entra in un’altra dimensione:
struttura e avvolgenza, compattezza
e ottima finezza espressiva. È un vino
che riesce a coniugare quel timbro
mediterraneo caratterizzato da note
di timo e rosmarino (cifra stilistica di
un po’ tutte le annate testate) insieme
alla stoffa dei grandi vini.
Con il 2007 entriamo nel terzetto
che abbandona il Sangiovese: meno
irruenza, meno austerità, ma più dolcezza e rotondità, senza mai, però, cadere nella prevedibilità o ridondanza.
Visciole e amarene, un tocco di selvaticità e un tannino ancora in divenire
segnano quest’annata. Con il 2008
ritorniamo alla grandezza del 2004,
anche se su registri differenti: ribes, ciliegie e una gestione del rovere e delle
note erbacee di ottima fattura.
Infine la 2010: la gioventù non gli dona
quell’equilibrio tipico delle altre annate
dell’Oreno, ma la cromaticità olfattiva
lascia prevedere piacevoli sviluppi.
g www.tenutasetteponti.it

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 137

/ marketing

“G

li americani so’ forti” recitava Alberto Sordi nel film
“Un americano a Roma”,
ma poi scartava margarina e mostarda
per buttarsi su un piatto di bucatini.
Forti in tanti campi, dalla democrazia
alla tecnologia e allo sport, gli americani sono sempre stati indubbiamente
“scarsi” nel settore alimentazione, cibo
e ristorazione in generale. Piatti grassi,
assenza di frutta e verdura, bevande
dolci e gassate, eccesso di zuccheri e
l’abitudine di alimentarsi durante tutte
le ore del giorno erano le caratteristiche di questo popolo. Se poi capitava
di andare negli Stati Uniti per lavoro,

Com’è accaduto? Dobbiamo ricordare
che la cultura americana è da sempre
quella egemonica a livello mondiale. Ed è piuttosto facile veicolare nel
tempo qualsiasi valore, anche quello
gastronomico, pur se non proprio
legato all’eccellenza. A questo si aggiunga il fatto che, dal punto di vista
della domanda, cioè noi, la richiesta di
novità e provocazione sia sempre più
forte anche nel settore food. Perché
scoprire la diversità, qualunque essa
sia e dovunque venga, fa parte ormai
del percorso di crescita e di autoalimentazione del nostro mercato. Ma
quali sono i segnali forti dell’avanzare

contrasto tra la mise en place formale
e il panino da mangiare, declinato
anch’esso in mille modi per grandezza e ricetta. Siamo arrivati al colmo: il
mini-burger, quasi una contraddizione.
Non da meno le patatine fritte si sono
trasformate anch’esse in un piatto
d’autore, grazie alla cura nella selezione della patata stessa, nel suo taglio e
nell’olio di frittura.
Salse e salsine - Siamo cresciuti con
l’idea che i francesi rovinavano carne
e pesce nonché l’insalata, cucinando
e condendo con le salse, quando gli
americani usavano ketchup, senape e

stelle e
strisce
in cucina
di carlo meo

L’american style è servito a tavola.
Fra pensieri, piatti e parole

vacanza o studio, l’unico rifugio per
mangiare qualcosa di decente sono
sempre stati i ristoranti italiani con pizzeria annessa o quelli cinesi. L’obesità,
prima di essere un problema mondiale
era una peculiarità Made in USA. Oggi
però nella grande cucina si respira
sempre più un’aria a stelle e strisce,
e l’America, una volta relegata alla
periferia del mondo della gastronomia,
riesce a imporre a livello globale le sue
icone di cibo, i suoi modi di gestione
e servizio, addirittura le sue ricette.
Non bisogna certo spaventarsi, le
basi della cucina europea e orientale
sono sempre forti, ma è interessante
analizzare un fenomeno che ha reso
possibile il prendere in considerazione
una cultura fino a prima sottovalutata.
138 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

della cultura gastronomica americana?
Eccoli.
Hamburger - Sì proprio lui, il vecchio
emblema dello junk food, oggi viene
servito anche nei ristoranti stellati
come piatto moderno semplice, innovativo e di qualità. Nella media ristorazione europea si sprecano i concetti
di premium-burger fatti con carni e
ingredienti pregiati e a Londra è nata
la catena Burger & lobster, che elegge
come compagno ideale dell’hamburger l’aragosta. L’hamburger, inoltre, ha
superato il suo essere “di carne” ed è
diventato concetto e forma. Tant’è che
lo troviamo pure di tonno e di gamberi
bianchi e rossi. Il pane poi è il contenitore iconografico che rappresenta il

maionese, a quintali in ogni situazione.
Oggi gli chef più creativi giocano con
le american sauce reinterpretandole:
dalla maionese alla liquirizia al ketchup
di pomodorini datterini. Salse che non
corredano solo gli hamburger, ma
accompagnano piatti di carne e pesce.
Sulle tavole compaiono persino i classici dispenser d’Oltreoceano (quelli
da spremere) o bottiglie di salse belle
quanto una bottiglia di vino pregiata.
Barbecue - È il metodo di cottura
dell’uomo delle caverne, quindi universale. Sicuramente però la tradizionale immagine americana contempla
un padre di famiglia che in giardino
prepara bistecche, hamburger e patate, bruciando ogni tanto la carne e

bruciacchiando sé stesso. Cucinare alla
griglia, a carbone o a gas, è diventato
di gran moda. Perché è sano, duttile
(si possono utilizzare tutti gli alimenti,
anche la pizza), fa scena (arreda, con
la cottura a vista, una zona del ristorante) e semplifica approvvigionamenti e gestione.
Mc-think - Indipendentemente da cosa
e come si mangia, McDonald’s è stata
la prima azienda al mondo a capire
l’importanza della standardizzazione
del business e del controllo gestionale per replicare i concept nel settore
ristorativo. Del resto, anche la migliore

idea imprenditoriale, la più creativa,
deve fare i conti con la sua gestione
operativa ed economica, altrimenti
non vale nulla. Gli ultimi anni sono stati
contraddistinti da locali effimeri, nati
anche su ottime idee e grandi chef ma
che, alla prova del mercato, si sono
rivelati fallimentari. Ecco allora che i
migliori imprenditori non hanno nessuna vergogna a dichiarare di prendere
come esempio McDonald’s e il suo
pensiero. Del resto, per stare sul mercato odierno, dati per scontati qualità
e talento, esistono regole di business
precise da rispettare.
Lessico - Hai fatto takeaway o delivery? Io mi prendo un caffè dalla vending. Dai scegli dal menù board che

non abbiamo tempo! Questi sono i
dialoghi che si sentono in giro e quindi
le proposte che vengono dal settore
ristorazione. Insomma, è molto di più
del classico inglesismo all’italiana, in
auge da Sordi in poi. È un cambiamento dei significati di consumo quello
per cui preferiamo portarci a casa un
piatto o farcelo portare e, visto da parte dei ristoratori e delle aziende, una
necessità commerciale per far quadrar
i conti e mantenere i clienti. Ed è un
costume tipicamente statunitense
che coinvolge sia il mondo privato
sia quello delle aziende, che devono
organizzare pasti durante le riunioni.

forma è la stessa ma gli ingredienti e le
ricette sono diverse. Oltre che dolcisimbolo diventano anche gusti del
gelato, aromi e altro ancora.

Un mondo dove ristorazione, marca,
negozio tradizionale e grande distribuzione sono in concorrenza. Il ristorante
perde la sua centralità in questa battaglia per le quote di stomaco e deve
quindi decidersi a offrire servizi che
facilitino il consumo del prodotto fuori
dai suoi locali.

tradizionali, che spaziano dai quelli
texani ai forni tandoor, sino alle griglie
robata giapponesi. La cucina a vista
esalta le ricercate strumentazioni agli
occhi delle 220 persone che le sale del
ristorante possono ospitare. Il menù
è scarno, perché punta sulla qualità assoluta e sulla tracciabilità delle materie
prime. Del resto, nella carta stessa,
si specifica che le carni usate sono
esclusivamente di origine britannica e
irlandese e che arrivano direttamente
dalla macelleria di proprietà, situata a
200 metri dal negozio, nonché frollate
on-site. Non resta che sedersi, scegliere tra la lista di whiskey americani
più ampia di tutto il Regno Unito, e
guardare le fiamme salire al cielo.

Dessert - Siamo invasi da dolci siglati
USA, come la cheese cake, l’apple pie,
i pancakes, il succo di acero e altri che
hanno soppiantato la torta di ricotta, quella di mele e le crêpe. Anche
queste sono icone che si ritrovano sia
nei ristoranti medi, come prodotto di
assortimento industriale, sia come oggetto di sperimentazione nella grande
cucina. E, come per l’hamburger, la

Barbecoa
La bianchissima cattedrale di St. Paul’s
a Londra rischia di macchiarsi di nero
carbonella da quando una notte, da
un disegno su un tovagliolo di un bar
schizzato da Jamie Oliver e dall’americano Adam Perry Lang, è nato Barbecoa. I due chef hanno così realizzato un sogno: portare nella capitale
inglese i sapori intensi delle grandi
carni, esaltati da metodi di cottura

gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 139

/ eventi

Viaggiatore gourmet... si diventa
a cura della redazione
Il club di Altissimoceto Ceto incontra Grandecucina.
Per un gemellaggio all’insegna dell’eccellenza
in formato conviviale ed emozionale

C

onta circa mille iscritti. Fedeli
proseliti di un club esclusivo,
fondato da un appassionato
di cibi rari e preziosi come Claudio
Sacco, meglio noto come Altissimo
Ceto. Perché di altissimo livello sono
le esperienze culinarie che si vivono. È
il gruppo di eletti meglio detti “Viaggiatori Gourmet”, itineranti amanti
della buona tavola ma anche del servizio raffinato e del vino pregiato. Che,
associandosi (con tanto di card green,
red, black e gold), hanno la possibilità
di partecipare ad eventi gastronomici di assoluta eccellenza, proposti a
pranzo, tre volte alla settimana (lunedì, mercoledì e sabato), in ristoranti
top, sia italiani sia europei. Sperimentando l’arte del gusto in un didattico

momento di incontro e di confronto
con chef, maître e sommelier. Che
possono pure dialogare con gli ospiti
presenti. Seduti tutti insieme a un
tavolo reale, conviviale e familiare.
Fatto su misura per scambiare pensieri e parole sulle pietanze assaggiate.
Immortalate in un diario online forte
di quasi 8mila visitatori unici quotidiani. Vagabondi virtuali fra reportage e
itineranti roadshow che contemplano
anche cene, eventi e visite guidate in
cantina.
“Siamo una sorta di treno, sul quale
si può decidere di salire o non salire.
Di fare questa o quella tappa”, spiega
viaggiator Sacco. “E il bello è che non
si è mai da soli”. Anzi, ora la famiglia
si allarga, grazie alla complicità di

Grandecucina, compagna di un viaggio che percorre innovativi sentieri
golosi. Insieme ad esperti e a novelli
adepti gourmet, fieri di far parte di un
progetto in cui tutti sono chiamati a
portare il proprio critico e costruttivo
contributo.
g www.altissimoceto.it

Un salone extraordinario
a cura della redazione
L’ospitalItà professionale si presenta con la sua allure
internazionale a Host. Fra contemporanei stili di consumo,
novità hi-tech e inediti food concept

C

ucine automatizzate ai massimi livelli, eco-acciai sposati a
un elevato risparmio energetico, sistemi di cottura ad alto tasso
di modularità e flessibilità. E ancora,
calici rivoluzionari che migliorano la
percezione delle qualità organolettiche del vino, nonché un’avveniristica
vaporiera creata in collaborazione
con lo chef Andrea Mainardi. Manda
in scena novità e tendenze captate da
tutto il mondo Host, il Salone Internazionale dell’Ospitalità Professionale in
calendario dal 18 al 22 ottobre in quel
di Rho. “Il concept, che riunisce in macroaree le filiere contigue, moltiplica le
opportunità di business, valorizzando
l’ibridazione tra comparti che caratterizza sempre più il fuoricasa”, spiega

140 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

Marco Serioli, Direttore Exhibitions di
Fiera Milano. Concentrando l’attenzione sul fatto che, più che un salone,
la manifestazione si svela come un
insieme di saloni, capaci di mettere
a fuoco l’innovazione nei campi della
ristorazione, dell’arte bianca (pane,
pasta e pizza), della pasticceria e
della gelateria. In sinergia con le oasi
tematiche legate al bar, al caffè e al tè.
Del resto, sotto un unico tetto vanno
pure gli appuntamenti di Extraordinariamente Host, organizzati da Reed
Gourmet e dall’Associazione Professionale Cuochi Italiani. Della serie, in
un’unica zone-event si susseguono,
fra cooking show, dimostrazioni live
e case history, i grandi protagonisti
del food: chef, pasticceri, gelatieri e

panificatori. Pronti a raccontare problematiche e opportunità per quanto
concerne la cucina, il dessert, il pane e
il gelato, visti all’interno di un ristorante del Terzo Millennio. Anche quando
si trova in albergo.
g www.host.fieramilano.it

Rhex: la ristorazione sotto il segno dell’evoluzione
di CRISTINA VIGGè
Le ultime tendenze, i nuovi format, le avanguardie tecnologiche. A Rimini,
si svelano moderni modelli di business. Per affrontare le sfide del futuro

S

cruta con occhio vigile le tendenze del mercato del
“fuori casa” e propone innovative soluzioni Rhex,
acronimo per Rimini Horeca Expo: Il Nuovo Salone
della Ristorazione e dell’Ospitalità che prende vita nella
cittadina adriatica, dal 23 al 26 febbraio. Nascendo sulla base di una forte
esperienza e di una profonda competenza. Maturate grazie ai precedenti
Sia Guest e Sapore. Un osservatorio
dinamico e attivo, che non perde di
vista l’attualità ma che prende la mira
sul futuro di un settore in continuo
fermento e movimento. Puntando su
idee, progetti e “soggetti” capaci di
rispondere alle esigenze di un pubblico

a tema. Per un approfondimento su un evoluto concetto di
convivium. Di cui fa certo parte il ristorante d’albergo. Anzi,
il ristorante in albergo, inteso come risorsa e come tassello fondamentale di un servizio teso all’eccellenza. A darne
prova? Grandi chef d’hotel, quali Sergio Mei de Il Teatro del
Four Seasons di Milano; Marco Sacco del G Ristorante Italiano dell’Hotel Golden Palace di Torino; Andrea Aprea del
Vun del meneghino Park Hyatt; e Fabrizio Ferrari del Roof
Garden dell’Hotel Excelsior San Marco di Bergamo. Pronti
a raccontare la loro global experience a cinque stelle in un
evento speciale, organizzato in collaborazione con Grandecucina di Reed Gourmet. È invece il miglior sommelier del
mondo Luca Gardini a dar voce ai Vini cheap&chic, nell’isola
espositiva DiVino Lounge, punto d’incontro fra produttori,
buyer e ristoratori. Il tutto declinato in una serie di dibattiti

sempre più attento alla qualità dell’offerta. Che sfila in una
vetrina ricca e sostanziosa, suddivisa in sezioni tematiche,
pensate per diversi target di riferimento. Ecco dunque l’area
dedicata al catering, virtuosa di prodotti biologici e gluten
free, quella specializzata in surgelati e quella focalizzata
sulle avanguardie tecnologiche, sia per le cucine professionali sia per la mise en place à la table. Senza dimenticare le
sperimentazioni nel campo del design e della green hospitality, in un’ottica di sostenibilità ambientale e di risparmio
energetico. E ancora, l’oasi a tutta filiera ittica, nonché la
beverage zone, fatta su misura per dare visibilità all’universo delle acque minerali e dei succhi di frutta, degli energy
drink e dei distillati. Non trascurando pregiate birre italiane
e straniere. Che incontrano sua maestà la pizza, riletta in
prelibate ricette d’autore. A cui si aggiungono laboratori
del gusto all’insegna della pasta artigianale, delle tipicità
regionali e dei vini, nonché gli show cooking siglati dalla
Fic, la Federazione Italiana Cuochi. Un calendario corposo
quello di Rhex, ritmato pure da dibattiti, tavole rotonde,
convegni e talk show intorno ai moderni format per la
ristorazione. Ovvero i contemporanei luoghi del cibo, come
i fast food gourmet, i negozi di nuova generazione e i locali

e degustazioni
capaci di
far focus
sui nettari
franciacortini e
su quelli
bruschi,
sugli abbinamenti
wine-food, sul corretto uso del decanter e sulla realizzazione della carta delle etichette in funzione del ristorante.
Perché il vino sia primo attore e non elemento accessorio
del pasto. Una manifestazione che non trascura nessun settore e che si arricchisce persino di un paniere di concorsi.
Vedi i Campionati internazionali di pizza senza glutine e con
farine alternative; il Campionato del cappuccino; I Migliori
Extravergine “Oro Giallo” e il Rhex Innovation Award 2013.
Attento nel decretare i prodotti più avveniristici, in termini
di pack e di contenuto.
g www.rhex.it
gennaio-febbraio 2013 / grandecucina / 141

/ news

DA VITTORIO - ST. MORITZ
IN ENGADINA ARRIVA
L’ALTA CUCINA DEI CEREA
Gli chef Cerea mettono gli sci. E svettano in Engadina. A loro è infatti affidata la
regia invernale della cucina del ristorante
gourmet dell’Hotel Carlton St. Moritz. Che
da Tschinè sublima in Da Vittorio - St.
Moritz, per una proposta lussuosamente golosa. “Vogliamo replicare la nostra
filosofia. Non rinunciando ai nostri prodotti
e servendo i piatti concreti e classici che
ci caratterizzano. Senza contaminazione
alcuna. E calibrando distanza e vicinanza”,

chicchi di classe
RISO GALLO GRAN RISERVA
INDOSSA L’ABITO DA SERA
Gioca col rosa e col nero, col vuoto e col
pieno, col vedo e non vedo la nuova livrea
limited edition ideata per la sinuosa confezione in latta di Riso Gallo Gran Riserva. A
griffarla? La giovane fashion designer milanese Anna Francesca Ceccon, vincitrice
assoluta di un concorso organizzato dalla
maison pavese di Robbio Lomellina, in connubio con la Camera Nazionale della Moda
Italiana, e premiata nel corso di una serata
a Il Ristorante Trussardi alla Scala. “Volevo

ORO VERDE
DALLA VAL DI CORNIA, UN OLIO
PREZIOSO E GUSTOSO
Tecniche agronomiche che rispondono
ai dettami dell’agricoltura integrata, per il
massimo rispetto ambientale. E iter di raccolta e molitura effettuati sotto il costante
monitoraggio di personale altamente qualificato. Sa unire tradizione e avanguardia
l’azienda San Frediano, maison a sola vocazione olearia con sede nell’Alta Maremma,
e in parte compresa nel Parco di Montioni.
Oltre cinquanta ettari i suoi, in cui crescono ben 14mila ulivi che rendono onore

bicchieri brillanti
IL SISTEMA COMPLETO WINTERHALTER
FA SPLENDERE I CRISTALLI
Basta un piccolo spazio per ottenere calici
brillanti. Winterhalter ha infatti messo a
punto un Sistema Completo che si adatta
perfettamente all’ambiente e alle esigenze
del cliente. Complici le lavabicchieri della
serie UC nella versione S-M-L; il trattamento ad osmosi inversa RoMatik XS, pronto
a garantire un’ottimale qualità dell’acqua
con un minimo ingombro e un’istallazione
flessibile (sia al fianco sia sopra la macchina); nonché i cestelli in filo con scomparti,

142 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

spiega il tristellato Enrico Cerea. Che, nel
tempio svizzero, si dà il cambio col fratello
Roberto e con la sorella Rossella, affiancando il cuoco resident Luca Mancini, cresciuto nella bella roccaforte di Brusaporto,
nonché Salvatore Frequente, che mantiene
le redini del Romanoff, l’altro ristorante
dell’albergo a tutte suite.
g www.tschuggenhotelgroup.ch

rappresentare la silhouette di una donna
accarezzata dalle ombre di una notte di
mezza estate”, dichiara la stilista Ceccon,
che al certame “Prêt-à-manger, Vesti il
Gran Riserva” si è distinta fra una decina
di creativi. Il riso qualità extra, maturato un
anno e avvolto dall’elegante abito da sera
sarà in vendita online e in una tiratura di
mille pezzi a partire dalla primavera 2013.
g www.risogallo.com

alle tipiche cultivar toscane quali Leccino,
Frantoio, Moraiolo, Pendolino e Maurino.
Pronte a donare verdi gioielli dalla spiccata
personalità. Come accade per L’Oleum Firmum, dalle complesse note erbacee e dalle
nuance di carciofo e di macchia mediterranea, perfetto con le carni rosse, la selvaggina e le zuppe di legumi. Ma come succede
pure per L’Oleum Iucundum, extravergine
dal sapore fruttato leggero, armonico e
delicato, indicato per carni bianche, pesce
e verdure; e per L’Oleum Magnificum, morbido al palato e caratterizzato da nuance
di mandorle e pinoli nonché da un lieve
accenno piccante. Ottimo con crostacei

che si adeguano alle altezze e ai diametri
dei bicchieri. Proteggendo pure i cristalli
più fragili da eventuali rotture e assicurando lo splendore anche senza l’asciugatura
manuale. E per un tocco di classe in più?
Non manca una gamma di detersivi e di
prodotti per l’igiene, al tempo stesso efficaci e delicati.
g www.winterhalter.it

e insalate di mare. Senza dimenticare la
Riserva Speciale, a cui è andato il premio di
“Miglior Novello 2012” Terre dell’Etruria.
g www.sanfrediano.eu

Collana iTECNICI

Iginio Massari

NON SOLO
ZUCCHERO
TECNICA E QUALITÀ
IN PASTICCERIA
VOLUME 3
È finalmente disponibile l’atteso
terzo volume della collana del
Maestro Iginio Massari: dopo
frolle, pan di spagna e masse al
burro, dolci lievitati e marmellate
e confetture, il nuovo libro
amplia lo sguardo al mondo della
gastronomia, con proposte salate
e dolci al piatto e infine racconta
di biscotti alle mandorle e biscotti
al miele. Anche in questo volume
troverete la sezione
‘i miei dolci preferiti’, irrinunciabile
appuntamento con le specialità
più amate dal Maestro.
Duecento ricette, splendidamente
fotografate a cura di Vincenzo
Lonati, per un totale di 496 pagine

Prezzo: euro 82,00
Per ordinazioni: tel. 02 81830.308 - fax 02 81830.402 - www.reedgourmet.it

/ agrodolce

Il paese della memoria
corta e delle mancate
opportunità

agrodolce
antonella provetti
[email protected]

144 / grandecucina / gennaio-febbraio 2013

Lione, in visita al Sirha. All’aeroporto, tra i mille manifesti che accolgono turisti e
business men c’è una foto di Paul Bocuse che cucina insieme a due bambini. Con
la stessa dignità di collocazione riservata alle esposizioni al Louvre, ai panorami
sulla Senna, all’invito a visitare la basilica di Notre-Dame di Fourvière. Al Salone,
tra aziende e prodotti, si muovono decine di Mof. Sono i Meilleurs Ouvriers de
France - per i pochi che non lo sapessero - i titolari del più prestigioso riconoscimento per le abilità speciali, unico al mondo, organizzato e riconosciuto come
un terzo livello di laurea dal ministro del lavoro francese. Loro e tutti gli altri chef
e pâtissier presenti alla manifestazione si muovono all’unisono. Li riconosci per
come si pongono, si guardano, rispondono. Sono davvero parte di un’unica entità. Gli chef e i pasticceri di Francia. Tronfi quanto basta, supponenti come solo
loro sanno essere, decisi e determinati nella convinzione della propria superiorità.
A torto o a ragione, non fa peraltro nessuna differenza. Mentre scrivo posso dirvi
che si sono aggiudicati la Coupe du Monde de la Pâtisserie, mentre non so ancora come si concluderà il Bocuse d’Or. Ma quel che conta è che sono un fronte
incredibilmente compatto, saldo come una roccia, nel ricordare a tutto il resto del
mondo le loro personalità di calibro; nel difendere la categoria intera agli occhi di
chiunque; nel fregiarsi con smisurato orgoglio di ogni risultato raggiunto. Inevitabile per me paragonarci a loro. Noi che dimentichiamo prima degli altri i padri
fondatori della nostra cucina, noi che riusciamo costantemente a sprecare le
nostre energie in rivoli diversi di invidie e rivalità. Noi che inventiamo ogni giorno
una nuova ‘associazione’, un nuovo ‘gruppo’, una nuova ‘unione di’; e poi uniti non
lo siamo mai. Lo so, niente di nuovo, ne avremo scritto decine di volte. Ma è oggi
il treno da prendere. Oggi che tutti parlano di cucina, guardano programmi tv,
scelgono i ristoranti non solo perché ne parlano i giornali. Oggi, nessuno escluso,
dobbiamo ricordarci chi siamo e da dove viene la nostra cultura gastronomica.
Oggi possiamo divertirci con la parodia di MasterChef e nel contempo far sentire
forte la nostra voce, gridando la fatica del lavoro ai fornelli, la dignità della nostra
ricerca, il valore del nostro lavoro. Invece di imitarli solo nella spocchia, potremmo
aspirare a eguagliarli nell’astuzia.

/ dietro le quinte

GRANDECUCINA gennaio/febbraio 2013

Direttore di divisione
Carla Icardi
[email protected]
@IcardiCarla
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Redazione
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Segreteria di redazione
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di conoscere l’origine dei dati personali ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera a), d. lgs 196/2003, in

dietro le quinte
carla icardi
[email protected]

CHI SI FERMA
è PERDUTO
Soprattutto di questi tempi. Mi viene da aggiungere. Non so voi ma io, quando
alle sette faccio colazione, ho smesso di accendere la televisione per ascoltare
il consueto tg della mattina. Dire il perché mi sembra superfluo. Non si tratta
di nascondere la testa sotto la sabbia ma di mantenere - con spirito più che
mai saldo - quel barlume di positività che va coltivato come una pianta rara e
delicata. In attesa di tempi migliori.
I momenti di sconforto ci sono, ovviamente. Dei vostri, cari lettori, ci giungono
echi tramite i social network, le email che arrivano in redazione, i tanti incontri
che abbiamo in giro per fiere ed eventi.
Eppure ciò che mi stupisce sempre è l’attaccamento al lavoro che connota
ogni professionista della cucina (ma lo stesso dicasi per la pasticceria o per
tutte le altre attività legate all’enogastronomia). Un attaccamento viscerale, a
volte quasi cieco dinanzi alle difficoltà. Voi, nonostante i conti che spesso non
tornano, le tasse che aumentano, la concorrenza non qualificata che vi attanaglia, continuate nel vostro percorso. Siete quasi dei ‘visionari’ del gusto, crociati
della buona tavola, guerrieri del cibo.
Andate avanti per la vostra strada con tenacia e passione, alla ricerca di un
perenne miglioramento che possa garantirvi un futuro più roseo. “Chi si ferma è
perduto” ci intima la saggezza popolare, ed è vero oggi più che mai.
La Grandecucina che avete tra le mani è il frutto di questa volontà che, come
precorre ogni vostra scelta, ha beneficamente contagiato anche noi. Noi non ci
fermiamo e abbiamo deciso di rinnovarci, metterci nuovamente in gioco, cercare di darvi il meglio. Non è solo questione di ‘forma’ ma anche, e soprattutto, di
sostanza. La nuova Grandecucina vuole essere sempre di più uno strumento di
lavoro, il vostro osservatorio privilegiato. Un mezzo per crescere, aggiornarsi e
anche un po’ sognare. E di questo abbiamo tutti un gran bisogno.

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