Hugo

Published on December 2016 | Categories: Documents | Downloads: 40 | Comments: 0 | Views: 314
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Ursus e Homo erano legati da stretta amicizia. Ursus era un uomo, Homo era un lupo. Le loro indoli erano ben assortite. L'uomo aveva battezzato il lupo. È probabile che si fosse dato da sé anche il proprio nome; se Ursus andava bene per lui, Homo sarebbe andato bene per la bestia. L'alleanza tra l'uomo e il lupo dava i suoi frutti nelle fiere, durante le feste delle parrocchie, agli angoli delle strade dove fanno capannello i passanti, e dovunque la gente volesse ascoltare frottole e comperare pastiglie miracolose. Quel lupo docile, educato e obbediente, piaceva alla folla. La sottomissione riscuote successo. La nostra soddisfazione più grande consiste nel veder sfilare ogni tipo possibile di esseri addomesticati. Per questo c'è tanta gente al passaggio dei cortei reali. Ursus e Homo passavano da un crocicchio a un altro, dalle piazze pubbliche di Aberystwith a quelle di Yeddburg, paese dopo paese, contea dopo contea, città dopo città. Sfruttato un mercato si trasferivano in un altro. Ursus viveva in un baracchino su ruote che Homo, opportunamente addestrato, trascinava durante il giorno, montandogli la guardia di notte. Lungo le strade difficili, nelle salite, quando c'erano troppe buche e troppo fango, l'uomo si passava la cinghia al collo e tirava fraternamente fianco a fianco con il lupo. Così erano invecchiati insieme. Si accampavano dove capitava, in un terreno incolto, in una radura, in un incrocio a zampa di gallina, all'entrata dei casolari, alle porte di un paesino, dentro i mercati, sui viali pubblici, sul limitare dei parchi e persino sui sagrati delle chiese. Quando la carretta si fermava nel luogo dove c'era una fiera e le donnette accorrevano a bocca aperta, mentre i curiosi si mettevano in cerchio, Ursus arringava, Homo annuiva. Poi Homo, con una ciotola di legno in bocca, faceva educatamente la questua tra i presenti. Dovevano guadagnarsi da vivere. Il lupo era istruito e l'uomo pure. Il lupo era stato addestrato dall'uomo, o c'era arrivato da solo, a certe gentilezze lupine che contribuivano all'incasso. «E soprattutto non degenerare in uomo» gli diceva il suo amico. Il lupo non mordeva mai, l'uomo qualche volta. O quanto meno Ursus avrebbe voluto mordere. Ursus era un misantropo che per sottolineare la sua misantropia era diventato ciarlatano. Lo era diventato anche per vivere, perché è lo stomaco a dettare le condizioni. Inoltre quel ciarlatano misantropo, o perché era uno spirito contorto, o per amore di completezza, era medico. Medico è troppo poco, Ursus era ventriloquo. Lo vedevano parlare senza che la bocca si muovesse. Imitava l'accento e la pronuncia del primo venuto così bene da trarre in inganno, e rifaceva le voci in modo tale da far credere che fossero vere. Da solo riproduceva il mormorio di una folla, meritandosi il titolo di engastrimita. Lo accettava. Sapeva imitare tutti gli uccelli: il tordo, l'alzavola, l'avocetta, detta anche monachina, il merlo dal petto bianco, tutti viaggiatori come lui; così che in certi momenti, secondo l'umore, vi faceva credere di essere in una piazza affollata di persone, oppure in una prateria piena di animali; a volte era tempestoso come una moltitudine, a volte ingenuo e sereno come l'alba. D'altra parte simili talenti, per quanto rari, esistono. Nel secolo scorso un certo Touzel, in grado di imitare un'intera babele di grida umane e bestiali contemporaneamente, e capace di riprodurre il verso degli animali, viveva presso Buffon in qualità di serraglio. Ursus era acuto, bizzarro e curioso, portato per quelle singolari spiegazioni che chiamiamo favole. Dava l'impressione di crederci. In questo la sua malizia era sfrontata. Leggere la mano, aprire un libro a caso e trarne auspici, indovinare il futuro, mettere in guardia dalle giumente nere e ancor più dal saluto di uno sconosciuto mentre stiamo per partire, tutto ciò per lui significava essere «un mercante di superstizioni». Era solito dire: «Tra me e l'arcivescovo di Canterbury la differenza consiste nel fatto che io non nego di essere quello che sono». Per questo un giorno l'arcivescovo, giustamente indignato, lo mandò a chiamare; ma Ursus, furbo, disarmò Sua Grazia recitandogli un sermone che aveva composto sul santo giorno di Natale e che l'arcivescovo, affascinato, prima imparò a memoria, poi declamò dal pulpito e infine

pubblicò come proprio. Così Ursus fu perdonato. Come medico, o forse proprio perché non lo era, Ursus riusciva a guarire. Usava le erbe aromatiche. Conosceva quelle medicinali. Sapeva sfruttare le virtù profonde di un mucchio di piante disprezzate, quali il nocciolo pendulo, la frangola bianca, il cespuglio di viburno, la lantana, l'alaterno, il viburno, il prugno nero.

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